Quale è la vera forza della mafia o, meglio, delle varie mafie? Come hanno fatto a mantenere, anzi a consolidare la loro forza, nonostante i passaggi da una Repubblica all'altra, la caduta dei governi e del muro di Berlino? Cosa rende le mafie così forti sia come realtà criminale, sia economica, sia politica?
La forza della mafia, sta al di fuori della mafia: questa la prima conclusione cui giunge il professore, nonché presidente onorario di Libera ed ex parlamentare, Nando dalla Chiesa. Si tratta delle convergenze, gli interessi comuni, talvolta consapevoli ma anche inconsapevoli, degli interessi mafiosi e di quelli del mondo politico, imprenditoriale, del mondo dell'informazione, della finanza sporca, delle gerarchie ecclesiastiche dei gruppi d'affari e della massoneria.
Cosa rende la mafia così forte? Sono cinque le cause evidenti
La sua impunità: il fatto che per anni non sia esistita una legislatura specifica per il fenomeno mafioso. Che per arrivare alla legge Rognoni La Torre ci sia dovuto essere l'assassinio di Pio La Torre e del prefetto dalla Chiesa. Per il 41 bis e la legge sui pentiti, si sia dovuto avere il sacrificio dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
La legittimità: questo avviene quando un mafioso conosciuto può girare impunito per il paese; quando ad un mafioso viene dato dell'eroe; quando viene scarcerato per insufficienza di prove, per scadenza dei termini, per dei vizi procedurali. Quando il boss va a braccetto col sindaco, telefona all'assessore o al presidente. Così si legittima la mafia. La sua invisibilità materiale, ossia l'idea che la mafia non esiste o che non esiste qui. Come una volta si diceva al sud, come oggi si dice di molte regioni del nord, dove invece vige la stessa omertà già conosciuta dei quartieri di Palermo.
La sua invisibilità concettuale: l'incapacità di distinguerla dal clientelismo o dalla delinquenza comune. Scoppia un bar o un cinema a Milano, e si dice che è stato uno scherzo. E forse è mafia.
La sua espansività: le mafie hanno colonizzato il nord, la ndrangheta ha contatti in sudamerica, nei paesi dell'est, negli Stati Uniti. Quando trova, sul territorio, le convergenze e le porte giuste, è un mostro che non si ferma né si sazia mai.
Apparentemente in contrasto (come può essere invisibile e legittimata?), questi punti si spiegano grazie al fatto che la cultura mafiosa ha saputo adattarsi ai cambiamenti, darsi delle giustificazioni storiche (c'è la mafia dove non c'è lo stato, mentre in realtà la mafia trova spazio proprio dove lo stato ha comportamenti convergenti con essa), grazie alle spiegazioni di giornalisti e politici garantisti a senso unico (come quelli che attaccavano il pool perchè attaccava l'imprenditoria dell'isola, quelli che intervistavano boss che ripetevano 'dove è questa mafia?').
Quali sono i comportamenti che portano a queste convergenze?
Il politico che cerca il voto del mafioso o del camorrista, l'imprenditore che accoglie con avidità i suoi capitali (per poi predicare le qualità del mercato dall'alto della sua funzione di 'imprenditore'), il giornalista che bacchetta i giudici troppo curiosi dando loro lezioni di diritto, il cardinale che vigila amorevolmente sulle carriere dei parenti dei mafiosi, l'intellettuale (o il politico) che dice le cose 'giuste' per farsi ospite televisivo, l'uomo in divisa o in toga che non vede e non si muove, il cronista in carriera che lorda di calunnie le persone per bene … La democrazia, la convivenza civile, appaiono a vole come un castello con le porte di ingresso spalancate. [pagina 283]
Quando si fanno leggi che mettono all'asta i beni confiscati alla mafia.
Quando si attaccano i magistrati che si permettono di indagare il livello politico, parlando di intromissioni, ingerenze (e in questo modo si indebolisce la loro autorità).
Quando si fanno leggi che depenalizzano di fatto il falso in bilancio e permette alle imprese una quota minima di fondi neri.
Quando si fanno leggi contra personam (per esempio il procuratore Gian Carlo Caselli), per impedirne l'accesso alla Procura nazionale antimafia. Quando si fanno scudi fiscali, condoni edilizi (sapendo che proprio nel settore edilizio le criminalità organizzate sono forti e in alcune zone addirittura egemoni).
Quando si permette un sistema di appalti e supappalti, con una miriade di aziende in mano a persone opache, o prestanome. Quando si tollera la logica del minimo ribasso nelle gare.
Quando si tollerano le zone grigie, di spaccio, di traffici illeciti, dove il controllo del territorio non è in mano allo stato. Succede all'Ortomercato a Milano, succede in alcuni comuni dell'Hinterland, come Buccinasco (lo ha raccontato Alberto Nobili durante un corso di formazione promosso da Libera per amministratori). Quando la politica piazza, nelle amministrazioni, nelle Asl, nelle società pubbliche, nelle liste dei candidati, non la persona migliore, non la persone che andrà a lottare per il bene comune o contro la mafia, ma solo la più fedele, o quella 'consigliata' da qualche elettore particolare. E ancora, non succede solo al sud: l'inchiesta “Il crimine” di questa estate ha mostrato contatti tra ndranghetisti e assessori regionali, sindaci, tecnici comunali. E la politica non ha fatto nulla. Né autocritica, né pulizia. I loro percorsi di crescita dalle origini, la svolta con la caduta del muro di Berlino e col crollo della prima Repubblica. La trattativa, presunta, vera, tra stato e mafia e la ricerca di nuovi equilibri, sia all'interno della mafia, sia con la genesi di nuovi partiti, nuovi governi.
Infine, gli anni dei governi del centrosinistra, e del centrodestra berlusconiano: gli anni dell'abdicazione nella lotta a Cosa Nostra e dell'assalto alla giustizia. Dalla prima repubblica del tavolino con la mafia, alle bombe del 1992, alla seconda. Ad unire le file, un fitto sottobosco di personaggi legati a cricche, massonerie, vecchi partiti che poi han cambiato veste.
Il libro inizia con due apologi, due racconti con fini educativi, per meglio comprendere la forza della mafia. Il primo, da un racconto del mafioso Frank Coppola a Falcone nel 1980: ci sono tre giudici che vorrebbero diventare procuratore della Repubblica. Il primo è intelligente, il secondo ha appoggi politici, il terzo è un cretino. Ma sarà proprio lui che otterrà il posto.
La prevalenza del cretino, come nel libro di Carlo Lucentini Carlo Fruttero: la mafia sceglie le sue pedine, scegliendo un cretino. E ora, se osservando quell'amministratore, quel politico, quel funzionario, quel presunto intellettale-giornalista, vi chiederete, come è possibile .. avete la risposta. Il cretino, che spesso è anche presuntuoso, narciso. Il cretino farà apontaneamente, spesso in buona fede, ciò di cui la mafia ha bisogno. La selezione della classe dirigente, l'abbassamento culturale nella società, l'uso di un linguaggio triviale, con pochi termini, di slogan. Una scarsa trasparenza nei candidati, nelle azioni, nella politica, nella finanza. Un mondo dell'informazione che non controlla, che non indaga, che sta a rimorchio e non come un cane da guardia. Questa è la prima convergenza con la mafia.
Il secondo apologo è quello del Bue di Teofrasto, ovvero del processo senza colpevoli, riportato da Roberto Calasso nel libro “Le nozze di Cadmo e Armonia”. Un bue ucciso durante un sacrificio, un sacerdote che consiglia, per placare le ire degli dei, di fare un rito di sacrificio collettivo, in cui le colpe possano ricadere su tutti e dunque su nessuno. Se non sul bue, ovvero il morto, e sul pugnale usato per ucciderlo, che non può più parlare né discolparsi.
Nel rito comune, nessuno ha colpe: tutti sono complici e dunque lontani dalle luci. Rimane solo l'arma che viene indicata e la vittima, colpevole di avere trasgredito con superbia alle regole del gioco (il bue che ha mangiato la focaccia e che è stato ucciso dal sacerdote).
Racconto che riassume tanti episodi della nostra storia: Ambrosoli ucciso dalla mafia (e lasciato solo dalla Banca d'Italia, dalla politica) che è morto perchè se l'è cercata. Per arrivare allo scrittore Roberto Saviano, denigrato, diffamato, deriso perchè ha avuto la scorta, di non essere ancora morto (come altri poliziotti, giornalisti ..).
E' immensa la platea dei complici innocenti delle convergenze mafiose.
Proprio per questo, a fine libro, dalla Chiesa si occupa principalmente dei comportamenti che ostacolano le convergenze.
Se la vera forza della mafia è fuori dalla mafia, significa che la si può sconfiggere anche grazie ai singoli comportamenti: non singoli atti di eroismo. Ma comportamenti e scelte consapevoli.
Come quelle fatte dalle associazioni Addiopizzo, le associazioni antiracket, Libera e le cooperative che coltivano le terre confiscate. Stando dalla parte delle vittime dell'usura, ne limitano la espansione, danno un forte segnale etico alla società (e alla Chiesa, e alle Istituzioni) e hanno pure un importante effetto sulla sfera economica.
Come la scelta di Confindustria Sicilia di espellere le imprese che pagano il pizzo.
Colpiscono la legittimità culturale della mafia , la sua pretesa invisibilità materiale, la sua impunità (per gli arresti, le condanne, le testimonianze). Se ne contrasta la sua espansività, se tutte le imprese adottassero i principi che si è dato il presidente di Confindustria Lo Bello.
Non solo le procure, le forze di polizia e un'amministrazione trasparente e funzionante. Importanza la assumono anche i circoli, i comportamenti dei singoli, delle associazioni, i giornalisti che denunciano e fanno conoscere.
Se le leggi ad personam, ad aziendam, contra personam, ad castam, il clientelismo familiare, delle correnti di partito, l'assistenzialismo, sono la porta aperta anche per la mafia (e non solo per la palude in cui è caduta la bassa politica italiana), quello che un cittadino può fare è “fare il proprio dovere” (sugli insegnamenti di Vaclav Havel):
“Il più efficace anticorpo, la mina silenziosa che si può mettere ogni giorno sotto l'edificio delle convergenze. La sciatteria l'assenza di qualità, l'ignoranza dei principi etici ed estetici, l'evaporazione del principio di responsabilità sociale sono il brodo primordiale e a volte la testa d'ariete della mafia, così come delle altre organizzazioni”.
Correda il libro il “decalogo dell'antimafia”
Formarsi sulla mafia: studiare la mafia e impossessarsi della sua dimensione culturale.
Informarsi: fare uso in modo scrupoloso delle informazioni, che spesso usa criteri di convenienza nel riportare i fatti.
Coltivare la sensibilità civile (ovvero creare capitale sociale diffuso): costruire un clima di consapevolezza civile, di predisposizione all'attenzione.
Diffondere l'informazione: sul terreno arato in termini di sensibilità civile è poi necessario seminare un insieme di informazioni sempre più alte.
Organizzare e partecipare alle campagne d'opinione: valorizzare tutti i momenti di mobilitazione collettiva.
Consumare in modo consapevole: premiare o evitare consumi in modo consapevole, per restringere le opportunità al profitto legale della mafia.
Controllare la legalità: anche il cittadino deve contribuire al controllo della legalità, nella sua esperienza quotidiana.
Usare al meglio il proprio voto: la mafia elegge i suoi candidati. E noi, dobbiamo pensare a come adoperare il nostro al meglio.
Appoggiare chi lotta: la lotta alla mafia non può essere condotta dai singoli.
Non agire mai da soli: evitare ogni tentazione eroica.