In una intervista al Tg Rai, l'amministratore Marchionne risponde alla domanda sul futuro di Pomigliano "chiedetelo ai lavoratori".
Suona come un piccolo ricatto: da una parte l'azienda che chede maggiori flessibilità in deroga al contratto nazionale, dall'altra la prospettiva di perdere il lavoro.
L'accordo Fiat Pomigliano potrebbe farà da apripista ai futuri accordi regionali, senza sindacati di mezzo.
Cosa chiede la Fiat ai lavoratori? Nessuno nei TG nazionali l'ha detto: dall'articolo di Salvatore Cannavò, sul Fatto quotidiano del 8 giugno
la vertenza su Pomigliano si è ormai incentrata sulla lista di “deroghe” al contratto nazionale ma anche ad alcune leggi dello Stato che la Fiat ha richiesto alle organizzazioni sindacali.
Si tratta di un documento di otto pagine in cui l’azienda torinese richiede la possibilità di derogare dalla legge sulla sicurezza (che prevede un minimo di 11 ore tra un turno e l’altro); di comandare straordinari sia nei giorni di riposo che nelle pause; di ridurre le pause da 40 a 30 minuti per un lavoro in linea di montaggio che è ancora definito usurante; di introdurre sanzioni per gli scioperi; di combattere l’assenteismo smettendo di pagare i giorni di malattia a carico dell’azienda (i primi tre) qualora si verifichino picchi di assenteismo troppo elevati. E altre cose ancora.
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Marchionne finora ha mostrato un volto molto aggressivo con la minaccia esplicita di spostare la produzione in Serbia o in Polonia e arrivando a proporre il referendum tra i lavoratori per verificare se accettano o meno le condizioni chieste dall’azienda.
“Ma noi non possiamo accettare un referendum che avesse come quesito la rinuncia al contratto nazionale di lavoro – spiega al Fatto , Giorgio Cremaschi, leader della sinistra Cgil – perché ci sono dei diritti che restano indisponibili.
In realtà – prosegue Cremaschi – la Fiat sta facendo da apripista totale a Sacconi e al federalismo contrattuale.
Le principali operazioni di revisione della Costituzione rischiano di passare in silenzio”.
“Ma noi non possiamo accettare un referendum che avesse come quesito la rinuncia al contratto nazionale di lavoro – spiega al Fatto , Giorgio Cremaschi, leader della sinistra Cgil – perché ci sono dei diritti che restano indisponibili.
In realtà – prosegue Cremaschi – la Fiat sta facendo da apripista totale a Sacconi e al federalismo contrattuale.
Le principali operazioni di revisione della Costituzione rischiano di passare in silenzio”.
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