14 giugno 2011

Il gioco degli specchi



Una bomba messa davanti ad un magazzino vuoto, come se fosse un'avvertimento per una storia di pizzo.
O forse c'entrano qualcosa gli inquilini del palazzo: uno è implicato nello spaccio di droga per i sinagra, un altro (al servizio del primo) si ritrova in carcere.

La vicina di casa di Montalbano, a Marinella, che tutto ad un tratto, sembra voler dimostrare verso il commissario, qualcosa di più di una semplice amicizia. Amicizia nata per caso, per un passaggio dato alla bella signora Liliana Lombardo, poichè qualcuno ha volutamente rotto la sua auto.

Un indagine fatta assieme a Fazio e Augello, che presenta troppe domande e troppe piste. Come se qualcuno volesse portare a spasso il commissario come fosse un cane al guinzaglio.
- Mentre tu m'arrifirivi di Aloisi,io mi annavo sempre cchiu facennio pirsuaso di 'na cosa - continuò il commissario.
Fazio Appizzò l'oricchi.
- Me la dicissi.
- Na vota mi capitò di vidiri 'na pillicola di Orson Welles nella quali c'era 'na scena che si svolgiva dintra a 'na càmmara fatta tutti di specchi e uno non accapiva cchiù indove s'attrovava, pirdiva il senso dell'orientamento. Mi pari che con noi vonno fari lo stisso 'ntifico joco, portarici dintra a 'na cammara fatta di specchi.
- Si spiegassi meglio.
- Vonno farinni perdiri il senso dell'orientamento. Stanno facenno tutto il possibili e magari l'impossibili per non farinni accapiri a chi era veramente destinato l'avvertimento. Tanto per esseri chiari, non penso cchiù che la bumma sia stata casualmenti spostata verso il magazzino d'Arnone, sugno convinto che la bumma è stata posisionata accussì apposta.
- Accomenzo a capiri.
[pagina 64]

E più lo sbirro Montalbano si addentra nel caso, più la nebbia, anzichè diminuire, aumenta. Qualcuno vuole confondere Montalbano con prove finte, false piste e tranelli. Tranelli insidiosi, se portati avanti da una donna avvenente.
Allo stato attuali, da jorni s'attrovava davanti a 'na serie du fatti apparentemente senza scopo.
Riassumendoli:
Quanno, indove e pirchì avivano sparato alla sò machina?
Perchì mittivano bumme davanti a magazzini vacanti?
Perchè Liliana era annata a contarigli 'na gran quantità di farfantarie?
E pirchì aviva voluto fari cridiri che con lui c'era 'n'amicizia stritta o qualichi cosa di cchiù?
Neglia fitta.
[pagina 100]

Il sito di Vigata.org
Il link su ibs per ordinare il libro.

Il film citato nel titolo e nell'estratto, è "La signora di Shangai", del 1946, con Orson Welles e Rita Hayworth.

L'incipit del libro (che, come da un pò di romanzi di Montalbano a questa parte, è un sogno ):

Era da minimo du’ ure che sinni stava assittato, completamenti nudo come Dio l’aviva fatto, supra a’na speci di seggia che assimigliava perigliosamente a ’na seggia lettrica, ai polsi e alle cavigli gli avivano attaccato dei braccialetti di ferro dai quali si partivano ’na gran quantità di fili che annavano a finiri dintra a un armuàr di mitallo tutto dicorato all’esterno di quatranti, manometri, amperometri, barometri e di lucette virdi, russe, gialle e cilestri che s’addrumavano e s’astutavano ’n continuazioni. ’N testa aviva un casco priciso ’ntifico a quello che i parruccheri mettino alle signore per la permanenti, ma questo era collegato all’armuàr con un grosso cavo nìvuro dintra al quali c’erano arrutuliati cintinara di fili colorati.

Il profissori, cinquantino, capilli a caschetto con la riga ’n mezzo, varbetta caprigna, occhiali d’oro, cammisi bianco che più bianco non si può e ariata ’ntipatica e supponenti, gli aviva arrivolto a mitraglia un migliaro di dimanne tipo:
«Chi era Abramo Lincoln?».
«Chi scoprì l’America?».
«Se vede un bel sedere di donna a cosa pensa?».
«Nove per nove?».
«Tra un cono gelato e un pezzo di pane ammuffito che preferisce?».
«Quanti furono i sette re di Roma?».
«Tra un film comico e uno spettacolo pirotecnico quale sceglie?».
«Se un cane l’assale, lei scappa o gli ringhia contro?».
A un certo momento il profissori s’azzittì di colpo, fici ehm ehm con la gola, si livò un pilocco dalla manica del cammisi, taliò fisso a Montalbano, po’ sospirò, scotì amaramenti la testa, sospirò ancora, rifici ehm ehm, schiacciò un bottoni e automaticamenti i braccialetti si raprero, il casco si sollivò.
«La visita sarebbe terminata» dissi annanno ad assittarisi darrè alla scrivania che c’era in un angolo dello studio medico e accomenzanno a scriviri al computer.
Montalbano si susì addritta, pigliò ’n mano mutanne e pantaloni, ma ristò ’mparpagliato.
Che significava quel sarebbe? Era finuta o no, ’sta grannissima camurria di visita?
’Na simana avanti aviva arricivuto un avviso a firma del questori nel quali lo si ’nformava come e qualmenti, in base alle novi norme per il personali emanate di pirsona pirsonalmenti dal ministro, avrebbi dovuto sottoporsi a un controllo di sanità mintali presso la clinica Maria Vergine di Montelusa entro e non oltre deci jorni.
Com’è che un ministro po’ fari controllari la sanità mintali di un dipinnenti e un dipinnenti non pò fari controllari la sanità mentali del ministro?, si era spiato santianno. Aviva protistato col questori.
«Cosa vuole che le dica, Montalbano? Sono ordini dall’alto. I suoi colleghi si sono adeguati».
Adeguarsi era la parola d’ordini. Se non t’adeguavi, avrebbiro nisciuto ’na filama, che eri un pedofilo, un magnaccia, uno stupratore abituali di monache e ti avrebbiro costretto alle dimissioni.
«Perché non si riveste?» addimannò il profissori.
«Perché non...» farfugliò tintanno ’na spiegazioni e accomenzanno a rivistirsi. E ccà capitò l’incidenti. I pantaloni non gli trasivano cchiù. Erano sicuramenti quelli stissi che aviva quanno era arrivato, però si erano stringiuti. Per quanto tirasse narrè la panza, per quanto si ’nturciniasse tutto, non c’era verso, non gli trasivano. Come minimo, erano di tre taglie ’nfiriori alla sò. Nell’urtimo dispirato tintativo che fici, persi l’equilibrio, s’appuiò con una mano a un carrello con supra ’n apparecchio mistirioso e il carrello sinnì partì a razzo annanno a sbattiri contro la scrivania del profissori. Che satò all’aria scantato.
«Ma è impazzito?!».
«Non mi entrano i pa... i pantaloni» balbettò il commissario tintanno di giustificarisi.
Allura il profissori si susì arraggiato, pigliò i pantaloni per la cintura e glieli tirò su.
Trasero pirfettamenti.
Montalbano si sintì vrigognoso come un picciliddro dell’asilo che, annato al cesso, ha avuto bisogno della maestra per rivistirisi.
«Già nutrivo seri dubbi» fici il profissori riassittannosi e ripiglianno a scriviri «ma quest’ultimo episodio fuga ogni mia incertezza».
Che ’ntinniva diri?
«Si spieghi meglio».
«Cosa vuole che le spieghi? È tutto talmente chiaro! Io le domando a cosa pensa davanti a un bel sedere femminile e lei mi risponde che pensa ad Abramo Lincoln!».
Il commissario strammò.
«Io?! Io ho risposto così?».
«Vuole contestare la registrazione?».
A ’sto punto Montalbano ebbi un lampo e accapì. Era caduto in un trainello!
«È una congiura!» si misi a fari voci. «Voliti farimi passare per pazzo!». Non aviva finuto di gridari che la porta si spalancò e comparsero dù ’nfirmeri forzuti che l’aggramparo. Montalbano circò di libbirarisi santianno e mollanno càvuci a dritta e a manca e allura...

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