Quando per un politico arriva il
momento difficile, piuttosto che ammettere in pubblico la sconfitto e
dire la verità (sullo stato delle cose), meglio rifugiarsi tra gli
amici.
E fare come la
volpe con l'uva, come nella favola di Fedro.
Così ha fatto Renzi alla fine del
summit dei 27 paesi dell'UE a Bratislava, dopo aver firmato l'accordo
e dopo essere stato escluso (come da accordi) dalla conferenza stampa
finale.
Quando si tratta di questione
umanistiche, dal “solo” valore storico, allora val bene
l'incontro di Ventotene e le foto tutti assieme. Con la Merkel e
Hollande.
Ma quando si parla di conti pubblici,
di immigrazione, di deroghe sulla flessibilità (da concedere),
decidiamo noi, cioè loro.
Dopo il summit il presidente del
Consiglio se ne è andato nella sua Firenze all'incontro organizzato
da Wired dove, ci ha raccontato la storia del “non sono la foglia
di fico”.
Dell'Europa incapace.
Degli effetti scenografici di cui non
sappiamo cosa farcene.
Tutto vero, per carità.
Vero che la Germania ha un surplus
sulla bilancia commerciale cui è arrivata grazie alla euro svalutato
per la Germania ma troppo forte per i paesi dell'Europa del sud.
Vero che la Francia di Hollande e la
Spagna non rispettano il vincolo del 3% sul rapporto deficit PIL.
Vero anche che sottovalutare la
questione dell'immigrazione porterà a problemi molto più seri nel
futuro, oltre a quelli già creati.
Le tensioni nei paesi che accolgono per
i primi i profughi e i migranti via mare, come Grecia e Italia.
La crescita dei populismi anti
europeisti e dei movimenti xenofobi.
È altrettanto vero che in Germania e
in Francia si vota e allora il referendum costituzionale di Renzi
passa in secondo piano nelle agende di Parigi e Berlino. Frau Merkel
se la deve vedere coi falchi di Shauble che preparano barricate nel
caso si concedano flessibilità ai paesi del sud.
Altro che riforme.
Hollande deve fare i conti con la Le
Pen e non mostrarsi debole nei confronti dei terroristi: niente
ridistribuzione dei migranti.
Se si volesse raccontare la verità si
direbbe questo.
Della bilancia commerciale tedesca se
ne parla da anni. Dell'austerity europea, dell'ottuso vincolo sui
conti pure.
Peccato che l'Italia abbia fatto tutto
il contrario per anni: abbiamo messo in Costituzione il vincolo sul
bilancio, abbiamo votato le leggi sul fiscal compact. Il PD in Europa
ha dato il sostegno a Juncker.
E ora?
Ora l'Italia ha il problema dei conti
pubblici, il Pil che non cresce come vorremmo, ha l'impegno a portare
il deficit all'1,8% (dal 2,4% attuale).
Se potessimo strappare un 3% per il
2017 sarebbe una manna: il governo potrebbe mettere sul piatto tutti
quei soldi (in debito) per tagliare le tasse a famiglie e imprese.
Giusto nelle settimane prima del voto sul referendum.
Ma si rischia la guerra con l'Europa e
con Berlino.
Il Quantitative easing della BCE, il
meccanismo con cui la BCE si compra i nostri titoli di Stato, è
l'unico argine al momento con cui abbiamo evitato la guerra dello
spread che ha fatto saltare il governo Berlusconi nel 2011. Il QE
scade a marzo 2017 e andrà rivotato dal board della banca europea,
ma se l'Italia dovesse andare allo scontro con la Germania..
Con la BCE è aperta anche la questione
delle banche e in particolare il dossier su MPS, salvata al momento
grazie al prestito ponte garantito da JP Morgan (che ha chiesto la
testa del presidente e dell'AD Viola).
L'ombrello della BCE non copre i titoli
bancari e quest'ultima potrebbe chiedere ai nostri istituti vincoli
patrimoniali più stringenti.
Nell'intervista concessa da Renzi a Teresa Meli, sul
corriere, tutto questo non c'è. O meglio, c'è l'attacco all'Europa
dei convegni inutili, c'è l'attacco al fiscal compact (rinfacciato a
Brunetta e Fassina), l'attacco alla Francia e alla Spagna per il
deficit e alla Germania per il surplus commerciale.
Qualcuno dice che lei sta facendo tutto questo per la legge di Stabilità.«La legge di bilancio italiana è pronta. Onora le regole europee, il deficit scende ancora, rispetta i parametri del fiscal compact che il Parlamento precedente ha votato su indicazioni di Brunetta e Fassina, responsabili economici dei partiti di allora. Dunque la nostra non è una tattica per strappare qualche decimale in più di flessibilità: noi rispetteremo le regole. E come le stesse regole prevedono, scomputeremo dal patto gli eventi eccezionali, legati al piano di prevenzione post-terremoto «Casa Italia» e all’immigrazione che l’Europa non riesce a gestire. Dunque nessuna trattativa sulla legge di Stabilità italiana, che per il terzo anno consecutivo vedrà scendere le tasse. Sono altri che dovranno giustificarsi per il mancato rispetto delle regole».
Le tasse sono
tagliate grazie ai tagli alla spesa pubblica (come per la Sanità) e
agli enti locali.
E non dovesse
arrivare questa flessibilità, serviranno altri tagli che verranno
mascherati come una revisione della spesa.
Nell'intervista si
parla anche dell'Europa egoista dei paesi del nord, che scarica
sull'Italia tutto il dramma umano degli immigrati che rischiano la
vita attraversando il Mediterraneo. Tutto vero, per carità: ma a
Ventotene cosa vi siete detti allora?
Ma nel finale
dell'intervista torna sull'argomento più caro e importante per il
governo. Il voto di novembre sul referendum.
C’è anche chi dice che ha fatto quell’attacco a Bratislava per attirare gli elettori meno europeisti. È preoccupato per il referendum?«No. Mai stato ottimista sull’esito come adesso. Nessuno parla più di “rischio democratico”, il clima è più disteso. Prima o poi inizieranno a circolare i facsimile della scheda e tutto sarà chiaro. Lì si parla di riduzione dei parlamentari, di riduzione dei costi delle regioni, di soppressione del Cnel, di superamento del bicameralismo paritario, obiettivo condiviso da tutte le coalizioni in sede di campagna elettorale, sempre. Quando si diraderà la nebbia dell’ideologia parleremo di merito e gli indecisi sceglieranno il Sì perché è l’unico modo per cambiare questo Paese. Altrimenti si resta nella palude delle bicamerali di troppi anni fa. E l’Italia torna all’instabilità. Noi stiamo andando bene: quattromila comitati, migliaia di persone che partecipano a iniziative e sottoscrizione, boom sul sito www.bastaunsi.it. L’Italia può diventare più semplice e più agile. Il futuro può finalmente trovare casa anche nel Belpaese».
Se vince il No si dimette, come aveva annunciato nel dicembre dello scorso anno ?«Per mesi mi avete detto di non personalizzare. Ho seguito il vostro suggerimento e non parlo più di me. Questo non è un referendum sul mio futuro, ma sul futuro dell’Italia».
Avete detto che siete pronti a cambiare la legge elettorale. Che cosa significa, in concreto?«Ritengo l’Italicum un’ottima legge elettorale: garantisce governabilità e rappresentanza. Ma non facciamo le barricate. Siamo pronti a cambiarla, qualunque sia la decisione della Consulta. La maggioranza c’è: adesso tocca alle opposizioni parlare. Devono dirci cosa propongono. Vogliono tornare ai collegi uninominali? Vogliono eliminare le preferenze? Vogliono il turno unico e non il ballottaggio? Devono tirare giù le carte loro. Noi ci siamo. Ma le opposizioni hanno qualche proposta o sanno solo dire no?».
Dunque non si
dimetterà, è disposto a cambiare (o a far finta di cambiare) la
legge elettorale (quella perfetta, che tutti ci copiano) per
ostacolare il M5S e per cambiare il paese basta un sì.
Come ci ha
ricordato l'ambasciatore americano, tutti gli investitori stranieri
sono pronti a venire in Italia, con questa riforma.
Poi qualcuno
spiegherà come un Senato di non eletti e di politici dal doppio
incarico possa fare meglio il proprio lavoro. Perché supereremo il
bicameralismo paritario, ma il bicameralismo rimane, col rischio di
creare contenziosi Stato regioni su leggi che toccano interessi
comuni.
Una camera sola che
decide (quello che vuole il governo) renderà lo Stato più
efficiente?
Al momento, il
governo dei decreti legge, dei canguri, del prendere o lasciare al
Parlamento non ha prodotto quel cambio di marcia che aveva promesso.
E i tempi, prima
della legge di stabilità e del referendum stringono.
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