Incipit
C'era fermento quel mattino di maggio in corso Buones Aires. Mancava poco alle otto studenti di ogni età, cartella alla mano, si affrettavano per raggiungere la scuola dove di lì a poco sarebbero iniziate le lezioni.In mezzo alla strada, sfrecciavano le biciclette dei garzoni di negozio, degli operai e degli impiegati, avvisando della loro presenza con squillanti colpi di campanello, così come le decise strombazzate di clacson delle poche auto richiamavano all'ordine qualche incauto pedone che attraversava il corso distrattamente.Ma il signore indiscusso del traffico era il tram, strapieno di passeggeri, qualcuno addirittura abbarbicato sul predellino fuori dalla vettura: si faceva sentire con scampanellii forti e insistiti, come a dire: “Attenti a tutti, fatevi da parte che arrivo io!”.Nell'aria si percepivano un'allegria e un'euforia che non erano dovuto solo alla bella giornata di primavera, ma anche alla diffusa sensazione che i tempi grami erano finiti, Milano stava rinascendo dopo le distruzioni e i disastri provocati dalla guerra. Il segno più tangibile della ripresa era la lenta ma graduale scomparsa delle macerie. Che pian piano lasciavano il posto prima ai cantieri e poi a nuovi caseggiati.
Milano maggio 1953.
Il simbolo della rinascita di Milano,
ci dice Crapanzano nell'incipit, è il sorgere dei cantieri per tirar
su al posto delle macerie, i nuovi caseggiati, pronti ad accogliere
anche la massa di immigrati dal sud, per quel boom dell'industria
ancora non arrivato ma che già si sente nell'aria.
In un cantiere di questi, in via
Boscovich, zona porta Venezia, un muratore ritrova il cadavere di
una giovane ragazza. Colpita alla testa con un martello, proprio un
martello da muratore, magari preso dall'assassino proprio dal
cantiere.
La ragazza, molto giovane ma
soprattutto molto bella si chiamava Gemma Salvadori e abitava
lì vicino, in via Tadino (come nel primo caso del commissario,
Il
giallo di via Tadino).
Il nuovo caso per il commissario Mario
Arrigoni e per i “quattro moschettieri del Porta Venezia”
riguarda la morte della bella Gemma, di professione infermiera e si
muoverà, con molte cautele e molti rischi, nel mondo delle cliniche
private (che già all'epoca godevano di forti protezioni politiche) e
nel discreto mondo familiare della morta.
Il martello e le altre tracce sul luogo
del delitto non sono d'aiuto ad Arrigoni che, del resto, come il suo
ben più celebre collega Maigret, preferisce risolvere i casi
guardando in faccia i sospettati e arrivando a moventi e prove col
suo intuito.
Ma questa volta la raccolta delle
testimonianze sul campo, rischia di portare il commissario e la sua
squadra fuori campo. Era bella la Gemma, così bella che sul suo
conto se ne dicevano tante..
Anche malignità, come quelle che la
portinaia dello stabile racconta: un fidanzato tassista che la
veniva a prendere ma anche altre relazioni, come quella col primario
della clinica Santa Sabrina, il professor Vinciguerra, dove lei aveva
trovato lavoro grazie all'aiuto di una compaesana.
E che l'aveva assunta proprio per la
sua avvenenza – lascia intendere al commissario.
«.. La Gemma, come le ho detto, è piaciuta subito al signor Vinciguerra, chissà perché .. A dire la verità, mi sono un po' meravigliata che si sia accontentata di un lavoro normale» continuò, saltando di palo in frasca, «lei ha altro per la testa, vuol guadagnare tanti soldi, fare la modella .. infatti posa tuttora per un pittore che abita in questa casa, l'Emiliano Pivetta, il vecchio scapolone che ha lo studio all'ultimo piano. Non voglio dare retta alle voci, ma si dice che la nostra Miss Italia non si limiti a farsi ritrarre dal professore ..».
Un
fidanzato che doveva controllare gli altri ragazzi che la
avvicinavano, un lavoro ottenuto forse per la sua bellezza dove
riceveva le attenzioni del primario, un pittore con pochi soldi.
E
una sorella, con qui era in cattivi rapporti.
Anche sulla sorella, o meglio sul marito, la portinaia non risparmia altre malignità:«Per non nascondervi niente, vi devo dare conto di un altro pettegolezzo: secondo alcune malelingue, pare che anche suo marito, il signor Giovanni Mirandola, piacesse la bella cognatina ..»
Messa da parte l'ipotesi della rapina
finita male (sebbene sia sparita la collana di perle che aveva al collo la sera
in cui è uscita di casa , le attenzioni di Arrigoni si
concentrano sulle persone più vicine alla morta, che vengono
ascoltate, una per una.
Il fidanzato Gigi, che forse non era
più fidanzato.
La sorella Antonella, con cui non
giravano buoni rapporti.
Il primario Vinciguerra, un tipo con la
passione per le donne ma anche con capace di muoversi con molta
scaltrezza. Fascista prima e antifascista poi, i soldi per aprire la
clinica se li è sposati, con una donna poco avvenente.
I proprietari di una scuola di Tango
argentino, che consente al nostro commissario di conoscere il poeta
Enrique Santos Discepolo (“Il tango è un pensiero triste che si
balla”).
E poi i colleghi della clinica. Che
poco aggiungono alla storia, di utile per le indagini.
Se non altre chiacchiere, da prendere
con le pinze per non correre il rischio di finire fuori strada: le
voci su aborti clandestini in clinica, i rapporti tra il primario e
Gemma …
Sarà l'esame del medico legale
e la testimonianza di un'amica, Valeria Vernazza, a dare
finalmente un contributo all'indagine che rischia ad un certo punto,
di arenarsi, nonostante l'impegno: Gemma aveva trovato un amore-
racconta ad Arrigoni l'amica - un amore clandestino che non poteva
essere mostrato alla luce del sole. Forse una persona sposata o
chissà. E da questa persone aspettava un bambino, essendo incinta di
due mesi.
Per la squadra di Arrigoni, il neo
brigadiere Di Pasquale, l'irascibile vice Mastrantonio (che cambia
sospettato ad ogni stormir di fronda) e l'ispettore Giovine (in
questo romanzo con un ruolo defilato), l'indagine rischia di arenarsi
(“la polizia brancola nel buio” si legge di solito sui
giornali), con tanto si smacco per il commissariato di Porta Venezia.
Ma il commissario stesso rischia un
provvedimento disciplinare per una sua mossa incauta nei confronti di
una persona sospettata, la moglie del primario, di cui abbiamo già
raccontato il suo essere abile nel costruirsi delle amicizie
politiche.
Che fare allora? A venire in soccorso
sarà la signora Lucia, la moglie del commissario, e una intuizione
del giovane Di Pasquale.
Occorre cambiare prospettiva
nell'indagine: se a partire dagli interrogatori è complicato
individuare il responsabile (chi?) e risalire poi al movente, perché
non provate a partire dal cosa (ha fatto l'assassino dopo il delitto)
per risalire al chi e individuare poi il movente?
Inutile dire che anche questa volta la
meritata fama dei moschettieri del Porta Venezia verrà confermata!
Ne “Il mistero della giovane
infermiera” si conferma tutta la capacità di Dario Crapanzano
nell'imbastire una trama non banale, che fa da spunto per la scoperta
di una parte di Milano che Mario Arrigoni, commissario capo ama
girare a piedi e che oggi purtroppo è quasi scomparsa.
E' stato così con le case di ringhiera
nel primo romanzo “Il
giallo di via Tadino”, le case chiuse ne La
bella del Chiaravalle, il mondo degli oratori con “il
prete bello”....
Era una Milano dove le serate delle
famiglie non si concludevano davanti la TV ma ascoltando gli
sceneggiati alla radio, dove era il tram a farla da padrone sulle
strade, dove i pranzi si consumavano nelle osterie che servivano i
sanguis (l'italianizzazione
dell'inglese sandwich) o l'ossobuco col risotto.
La Milano dove i materassi erano ancora
di lana e questi trovavano nuova linfa grazie al lavoro dei
“materassai”, dove le forbici venivano affilate dal lavoro
del mulèta e dove agli spazzacamini
veniva pure dedicata una canzona popolare in cui si esaltava la loro
arte amatoria!
Il mistero della giovane infermiera,
Dario Crapanzano - Mondadori
La scheda del libro sul sito di
Mondadori
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