Nel mio paese viveva una signora
anziana che aveva visto, da ragazzina, gli anni della prima guerra
mondiale, l'arrivo del fascismo..
La signora Emilia, questo il suo nome,
era brava a lavorare il “tombolo” o Pizzo Cantù e
lo insegnava a mia sorella quando la andava a trovare nei pomeriggi,
dopo la scuola.
In questi pomeriggi raccontava storie
della sua giovinezza: quando si andava a fare i bagni nel Lambro,
dove i ragazzini come lei pescavano piccoli pesci e rane.
Carlo, il ragazzo di cui si era
innamorata e che andò in guerra, la Grande Guerra, dove fu ferito ad
un occhio e venne poi catturato dagli austriaci.
Quel ragazzo, tornato a casa, se lo
sposò, nonostante l'opposizione della famiglia. L'amore.
Il signor Carlo, ancora a distanza di
anni ricordava ancora il trattamento umiliante subito durante la
prigionia da parte degli austriaci che in particolare si accanivano
contro gli italiani. Bestie da lavoro, impiegati in compiti
pericolosi come lo sminamento dei terreni.
Viene fuori un quadro di una Brianza di
inizio '900 che era un territorio povero, pur essendo presenti
l'industria della seta con le filande. In queste lavoravano anche
bambini come la signora Emilia, che entrò in filanda a dieci anni.
Un giorno, mentre stava lavorando,
arrivò un controllo e la sua capo reparto la nascose in uno
sgabuzzino. Perché la legge, che pure all'epoca c'erano leggi di
tutela sul lavoro, proibiva il lavoro minorile.
Rimane chiusa in quella stanza buia per
ore.
Quando la caporeparto venne a tirarla
fuori la vide con le lacrime, spaventata, piagnucolante. In un gesto
di umanità allora le diede dei soldi e le disse, “vai a
comprarmi un etto di prosciutto cotto”.
La signora Teresa non sapeva cosa fosse
il prosciutto cotto. Lo chiese alla madre.
“Eh, tu ancora non l'hai mangiato
il prosciutto cotto, il jambon”.
Jambon, così si chiamava in dialetto
brianzolo il prosciutto, in una parola dal suono francesizzante.
Scoperto il mistero, andò dal
Prestinaio a comprare il prosciutto e lo portò dalla responsabile.
Che, per premio, le diede una fetta di
prosciutto.
Emilia non l'ha mangiò nemmeno quella
fetta “preziosa” di prosciutto, ma la portò alla sua
mamma.
È una storia vera che mi ha colpito
molto, quando me l'hanno raccontata. Così funzionava il mondo del
lavoro ad inizio secolo scorso.
E mi è ritornata in mente sentendo i
due ultimi episodi di morte sul lavoro (o per il lavoro): l'operaio egiziano investito da un tir mentre protestava fuori
dall'azienda presso cui prestava servizio, dentro una cooperativa.
E l'operaio morto all'Ilva. Per un
nastro rotto che forse non doveva essere rimesso in moto.
Tutto storie dove la dignità della persona è stata mortificata.
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