Giorgio Ape, Giorgio Garofalo (Brianza siCura), Cristina Soriani (Transcrime) e Alessandra Trevisani |
Il comitato
Inverigo 2021, nell'ambito degli eventi per la campagna
elettorale, ha organizzato venerdì 21 maggio un incontro presso la
sede consiliare del comune di Inverigo sul tema “della
diffusione di una cultura di legalità”.
Oltre al candidato sindaco, Giorgio
Ape, erano presenti Giorgio Garofalo dell'associazione Brianza
SiCura, il progetto
intercomunale di contrasto alle mafie e al fenomeno della corruzione,
e Cristina Soriani, dottoranda dell'università cattolica e membro
del gruppo Transcrime,
centro universitario di ricerca sulla criminalità transnazionale
dell’Università del sacro Cuore di Milano, diretto dal professore
di criminologia Ernesto Ugo Savona.
La mafia, dunque.
Argomento che, normalmente, suscita due
diversi tipi di reazione: superficialità (mafia? Ma qui non abbiamo
problemi di mafia ..) indifferenza, oppure, quando esce una notizia
di cronaca giudiziaria che riguarda la criminalità organizzata,
accettazione di un fatto inevitabile (ma lo sanno tutti che qui c'è
la mafia).
Eppure in questi anni sono troppe le
storie che abbiamo sentito sui giornali che testimoniano come, più
che di penetrazione mafiosa, si debba parlare di colonizzazione
mafiosa.
L'inchiesta Infinito che ci ha toccato
da vicino con la storia delle Perego strade (vicenda
raccontata dal giornalista Giampiero Rossi, La Regola).
Con la scoperta della banca della mafia
a Seveso.
Con la scoperta (se scoperta si può
dire) delle Locali di ndrangheta a Giussano, Erba, Desio …
Nessuno più oggi si permette di dire
che al nord non esiste la mafia.
Ma ancora oggi si sottovaluta il
problema, lo si considera solo “cosa” da polizia e carabinieri.
Soltanto pochi giorni fa il candidato sindaco di Milano Parisi
aveva affermato che contro la mafia serve solo la repressione, non
serve la retorica dell'antimafia.
Un tuffo indietro di trenta anni, ancor
prima di Dalla Chiesa, Falcone e Borsellino, che ben sapevano
come per sconfiggere la mafia servisse oltre alla magistratura, una
sana cultura antimafia, di legalità.
“Ho capito una cosa, molto
semplice ma forse decisiva: gran parte delle protezioni mafiose, dei
privilegi mafiosi certamente pagati dai cittadini non sono altro che
i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere
alla Mafia, facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati”: così
parlava il prefetto Dalla Chiesa nell'ultima intervista con Giorgio
Bocca, prima di essere ucciso.
Non bastano le inchieste e non si
devono aspettare le condanne anche perché, come ha spiegato in
seguito la dottoressa Soriani, spesso dimostrare che certi
comportamenti siano mafiosi (da 416 bis) è difficile qui al nord,
perché la mafia, qui, non spara, non sporca le strade di sangue.
Doveva essere presente anche la
senatrice Ricchiuti,
che non ha potuto partecipare per un impegno a Desio, la città dove
è stata vicesindaco: ha voluto comunque lasciarci un segno,
scrivendo una lettera poi letta da Giorgio Garofalo, in cui elencava
le qualità che servono al buon amministratore: la consapevolezza
della presenza della mafia e dei rischi sociali che questo comporta.
La conoscenza del fenomeno mafioso: come si presentano i nuovi
boss mafiosi, come si muovono, quali i loro obiettivi.
E poi, dotare le amministrazioni di
strumenti efficaci nel contrasto alle mafie: creare delle
sentinelle attive sul territorio, capaci di captare quei segnali che
dovrebbero far scattare gli allarmi.
Aziende intestate a persone che sono
semplicemente degli uomini di paglia, ovvero persone anziane o
ragazzi appena maggiorenni, per nascondere la vera proprietà.
Aziende che si prendono il monopolio di
interi settori.
Locali, bar, dove avviene lo spaccio,
usati per riciclare denaro.
Servono amministratori locali con la
schiena dritta, che sappiamo dire no alle pressioni e alle lusinghe
del denaro: devono essere preparati nel loro lavoro che deve essere
improntato verso la trasparenza.
Togliere di mezzo discrezionalità,
favoritismi, atti non sottoposti al controllo dei cittadini.
Cristina Soriani ha presentato
un rapporto del gruppo Transcrime, sui comportamenti della
mafia qui in Lombardia: quanto è presente nel territorio, quali rami
societari sono più a rischio colonizzazione. I numeri parlano
chiaro, Milano è la terza provincia per beni della mafia
sequestrati, davanti a molte altre province del sud.
Una piccola nota: la legge sul
sequestro dei beni, nata dal sacrificio del segretario PCI Pio La
Torre, è unica in Europa, esiste solo da noi. In altri paesi,
l'azienda della mafia viene chiusa, creando un doppio danno sociale
alla collettività. Questo per dire come, sulla legislatura
antimafia, pur con tanti limiti, siamo davanti ad altri paesi.
Tra le aziende confiscate, qui in
Brianza la maggior parte sono legate alla ristorazione, perché zona
di turismo. Nel milanese si parla principalmente di società di
servizio, facchinaggio, movimento terra, tutti rami dove serve una
bassa specializzazione.
Ma i magistrati sequestrano anche ville
di lusso: non è un investimento legato al bene in sé, ma per
l'immagine che questo ha sulle persone, per un prestigio che da al
proprietario.
La dottoressa Soriani ha spiegato che
per il mafioso il bene in cui entra in possesso non serve per fare
profitto a lungo termine: serve solo per creare consenso sociale
e per entrare nel tessuto sociale. Così la piccola fabbrica o
impresa che crea posti di lavoro,e coi posti di lavoro si riesce
anche a influenzare la politica locale. Per i voti e per gli appalti.
Il vero problema, con le mafie moderne,
è che queste si mimetizzano nell'economia e nelle amministrazioni: è
difficile distinguerle ed è difficile per il magistrato applicare
gli articoli del codice.
Non ammazzano, ricorrono alla violenza
solo se non hanno altre vie, perché i capi delle cosche sanno che,
morti e sparatorie portano l'attenzione delle forze dell'ordine e
suscitano reazioni di paura da parte delle persone.
Servono delle sentinelle attive, su
tutto il territorio, per captare tutti i segnali anomali: qui
torniamo a quello che scriveva la senatrice Ricchiuti nella sua
lettera.
Controllare gli appalti del comune, se
questi vanno per la maggior parte alle stesse imprese.
Se ci sono imprese che lavorano quasi
in regime di monopolio.
Mettere a disposizione di tutti (non
solo commercianti e piccoli imprenditori) strumenti di
“whistleblowing” per permettere denunce anonime su estorsione,
minacce, da valutare poi, che consentano ai denuncianti di non
esporsi direttamente.
Gianluca Garofalo ha raccontato
come è nata Brianza SiCura: il progetto che comprende 13
comuni nella Brianza, impegnati in modo attivo nel presidio e nella
cura del territorio contro la colonizzazione mafiosa e la corruzione.
Amministratori locali che non solo firmano un protocollo da tenere
poi nel cassetto, ma che si impegnano a portare avanti azioni
concrete, di trasparenza, di monitoraggio.
Tutto cominciò con la scoperta della
banca della mafia a Seveso: da presidente del consiglio
comunale nella cittadina brianzola, aveva proposto di creare una
commissione antimafia, proposta bocciata da cinque dei sei gruppi
cittadini. Dopo che l'inchiesta della magistratura aveva dimostrato
come la ndrangheta operasse nel loro territorio, gli stessi che prima
consideravano la commissione come una perdita di tempo, avevano
cambiato ipocritamente atteggiamento: ma lo sanno tutti che la
mafia c'è anche qui ..
Da qui nasce Brianza SiCura, al
cui interno troviamo comuni grossi come Giussano e Desio, altri più
piccoli come Barlassina o Misinto. L'obiettivo e mettere a fattor
comune esperienze e buone pratiche sul territorio, relative alla
formazione e alla cultura della legalità, affinchè queste
siano facilmente fruibili.
Dal sito del progetto:
Brianza SiCura prende in prestito il nome da un convegno di successo organizzato nella Città di Seveso il 16 maggio 2014. L’iniziativa vedeva la partecipazione, come relatori, del professore Nando dalla Chiesa, del magistrato Salvatore Bellomo e del presidente della Commissione antimafia di Milano David Gentili.Quel convegno rappresentava la migliore risposta, da parte delle istituzioni, nei confronti della criminalità organizzata: erano passate solo poche settimane dalla scoperta della “banca clandestina della ‘ndrangheta” dell’operazione Tibet, una delle tante operazioni che hanno messo in luce i traffici della criminalità organizzata al Nord e l’attivismo delle locali di ‘ndrangheta in Brianza.Il nome Brianza SiCura si articola in un gioco di parole che esprime il doppio concetto di sicurezza e cura del territorio.L’idea di fondo è quella di opporre, quale straordinario strumento di prevenzione, la cura collettiva degli interessi generali alla prepotenza del fenomeno criminale mafioso e ai subdoli attacchi della corruzione che impoveriscono il tessuto economico e la qualità dei servizi pubblici.Attorno a questa idea, il Coordinamento ha avviato un percorso volto a elaborare strumenti di prevenzione efficaci, coltivando in particolar modo la consapevolezza e la conoscenza. C’è il forte bisogno, infatti, di comprendere e studiare i fenomeni: ecco perché abbiamo sentito l’esigenza di elaborare una programmazione e costituire specifici gruppi di lavoro.
Dal pubblico, una signora, al termine dell'incontro, ha chiesto: ma cosa possiamo fare noi cittadini di fronte alle mafie?
Si può rispondere a questa domanda in tanti modi: prima di tutto essere consapevoli della loro presenza e della loro pericolosità è già un passo avanti. Gli atteggiamenti negazionisti e superficiali fanno solo comodo alle mafie.
In secondo luogo, come cittadini, dobbiamo pretendere dai nostri amministratori, la massima trasparenza nei loro atti. E qui torniamo nuovamente a quelle parole chiave: consapevolezza, conoscenza, strumenti idonei, essere sentinelle ..
Incontri come questi servono a fare prevenzione, a curare il nostro territorio, prima che intervengano forze dell'ordine e magistratura.
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