Faccio outing: sono vittima della sindroma da avvelenamento da libri, non è una malattia grave e ora ve la spiego.
Vi capita mai di accorgervi, durante la lettura o più spesso al termine, di aver assorbito dei tratti, dei modi, dei protagonisti del libro sotto mano?
State leggendo un noir con protagonista un poliziotto, uno di quei poliziotti da strada, capaci di intuire cosa c'è dietro una persona, sempre con la pistola dietro, senza orari? Ecco che all'improvviso sentite la necessità di guardarci attorno in metrò.
Con fare circospetto. Sindrome da commissaro Maigret quando ne "La prima inchiesta .." scrive che il suo lavoro è come quello di uno stregone.
Un altro esempio: quando leggo un libro che mi pesa, che non vedo l'ora di finire, succede che poi questa insoddisfazione si tramuta in malessere. Malessere fisico intendo.
Leggo un noir alla Joe Lansdale (tanto per citare un autore tra i miei preferiti)? Con tanta azione, bum bum, ma anche con tanta ironia per le situazioni e i dialoghi sferzanti dei personaggi?
Ecco che la settimana si apre col sole, il viaggio in treno sembra non pesare, e tutti vissero felici e contenti.
Ultimamente ho terminato il libro di Nicola Rao, sul terrorismo nero della seconda metà degli anni '70: anche il mio umore è diventato nero, cupo. Il sangue nelle strade, il "piombo" è entrato piano piano nel mio di sangue ...
Perchè li leggi, allora? Perchè la storia va studiata, va compresa, per conoscere il presente. Ma questa è un'altra storia.
Esistono cure per questa malattia? Non credo. O forse sì: scegliersi solo libri che fanno stare bene, che portano ad un avvelenamento "positivo", quella sorta di nutrimento dell'anima che avviene scorrendo le pagine, riga dopo riga, del libro in quel momento sotto mano.
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