Quando si parla di lavoro e occupazione non ci sono mezze misure: da una parte abbiamo la narrazione renziana/governativa che ci racconta (ormai ogni giorno, su ogni TG) del milione di posti di lavoro creati grazie al jobsact del governo del mille giorni.
Meriti che oggi vengono messi sul tavolo dal ministro Padoan alla conferenza stampa per la presentazione della prossima manovra:La previsione è di un milione di posti di lavoro, non subito, ma in quattro anni. Perché «Persiste la fase di significativo miglioramento del mercato del lavoro» ed è prevedibile un «ulteriore progressivo aumento dell’occupazione nei prossimi mesi e anni», ha detto martedì il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan intervenendo alla Camera e al Senato sulla prossima manovra di finanza pubblica, per illustrare gli aggiornamenti al quadro macroeconomico del Documento di Economia e Finanza stilato in primavera, e dare anche, su esplicita richiesta del Parlamento, le indicazioni sulla composizione e l’entità della manovra di finanza pubblica che seguirà con la Legge di Bilancio 2018.
E' una sorta di gioco delle tre carte: metto delle clausole di salvaguardia per non sforare i vincoli, poi elimino le clausole usando le previsioni del PIL e facendo deficit, assicurando che questo farà crescere proprio il PIL..
Esiste anche un altra narrazione, forse più vicina alla realtà e dunque meno "rose e fiori".
E' la narrazione che racconta dei lavoratori del web, i facchini di Foodora, Amazon, i nuovi lavoratori a cottimo.
La narrazione dei dipendenti della città metropolitana milanese, che stanno occupando la sede da giorni, nella speranza di avere ancora un lavoro.
La narrazione di Alamaviva che sposta i call center in Romania, lasciando a casa persone qui in Italia ma continuando a vincere commesse pubbliche.
La narrazione degli studenti che, per l'alternanza scuola lavoro, hanno dovuto lavorare da Mc Donald o fare i camerieri. O, e questa è una notizia che dovrebbe far indignare in tanti, gli studenti che hanno fatto da volontari alla festa del PD, per l'intervento del ministro dell'istruzione Fedeli (nonché della ricerca moritificata). Venite studenti a fare da camerieri, tutto fa credito.
Di questo mondo, poco dorato e poco renziano (o berlusconiano) ne parla Marta Fana nel suo libro "Non è lavoro, è sfruttamento" (Laterza), di cui già potete leggere due importanti recensioni di Gilioli e quella di Robecchi.
Gilioli - Abbiamo solo meno diritti
C'è tutto: c'è il lavoro gratuito più o meno nascosto da vari nomi, c'è il grande ritorno del cottimo, c'è la parabola grottesca dei voucher, c'è lo schiavismo nella logistica al servizio delle 'over the top' digitali, c'è la deriva nella stessa direzione nei servizi pubblici e negli appalti delle pubbliche amministrazioni, ci sono i meccanismi ricattatori e di torsione psicologica che si diffondono nel nuovo clima tutto top-down, c'è il regalo di manodopera ad aziende come McDonalds, Ibm e Bosch fatto passare per "alternanza scuola-lavoro".
Ma c'è anche la distruzione del patto sociale che aveva garantito la crescita del Paese per due decenni nel Dopoguerra; c'è la diffusione del mito farlocco e ideologico secondo cui maggiore 'flessibilità' produce più posti di lavoro; c'è la denuncia dell'interiorizzazione dello sfruttamento (quel "sempre meglio di niente" che agevola parecchio la slavina del dumping salariale e di diritti); ci sono gli interventi legislativi che hanno portato a questa situazione (perché non è vero che il degrado non ha responsabili); e c'è la guerra tra sfruttati, vero capolavoro del capitalismo contemporaneo.
Robecchi - Scegliete il vostro posto sul treno della precarietà: ce n’è per tutti:
Non è (solo) un libro per economisti, questo combattivo pamphlet di Marta Fana, ma un libro per lavoratori. Nel paese che cita il lavoro nel primo articolo della sua Costituzione, il canto costante è che il lavoro “non c’è”. Però è lo stesso posto dove si chiede e si impone di lavorare gratis: stage, simil-volontariato, alternanza scuola-lavoro, per cui le cifre della disoccupazione fanno tremare le vene ai polsi, ma il panino all’autogrill magari te lo scalda uno studente dell’istituto tecnico, qualche stipendio risparmiato per l’azienda che lo “ospita”. Il tutto con spaventevoli ricadute culturali, ovvio, sul lavoro come merce degradata e degradabile, una svalutazione professionale e umana che riguarda tutti.
Una fotografia, insomma, lo stato dell’arte qui e ora, dove la parola “sacrifici” risuona instancabile da Lama alla Fornero, da Berlusconi a Renzi nella vera continuità politica del paese: quella di umiliare il lavoro.
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