Finché l'inchiesta sulle toghe non ha toccato la procura romana, l'inchiesta sull'avvocato Amara, i dossier usati per colpire Zingales quando cercava di fare pulizia nell'Eni era rimasta in sottofondo.
Se ne era occupata una puntata di Report, erano usciti alcuni articoli di giornale.
Oggi invece è su tutte le prime pagine dei giornali: stiamo parlando di una inchiesta su presunte corruzioni di giudici (Palamara e anche Pignatone per incarichi che avrebbe dato al fratello), per spostare nomine, per condizionare le elezioni regionali..
Ma si lega anche con la nomina del successore di Pignatone a Roma (dove si parla di garantire la continuità, una parola che può avere significati ambigui), con le inchieste Consip (quelle che hanno portato a Lotti).
Ma dietro c'è tutto il sistema del CSM che dimostra tutti i suoi limiti: il peso delle correnti, i legami tra i magistrati e le toghe (come Lo Voi a cena con Salvini e Boschi).
Altro che separazione delle carriere di pm e giudici (o le toghe rosse che avrebbero fatto la guerra a Berlusconi): servirebbe una riforma che separi veramente politica e magistratura, che premi il merito o che almeno non premi i correntisti e i carrieristi.
E' un problema antico, quello della giustizia, delle nomine nei Tribunali e nel CSM, fin dai tempi di Salvini.
Nessuno io mi chiamo; nessuno è il nome che mi danno il padre e la madre e inoltre tutti gli amici
31 maggio 2019
30 maggio 2019
Il prossimo governo
Su La Stampa campeggia la notizia di un futuro voto a settembre.
Così, se dovesse vincere l'asse Meloni Salvini, sarà compito loro fare quella manovra correttiva o, sempre che siano sovranisti non solo a chiacchiere, mettere la faccia in uno scontro con l'Europa.
Salvini ha promesso la Flat tax, l'Autonomia, il TAV.
La Meloni il blocco navale con l'aiuto dei paesi del blocco di Visegrad.
Reputo che sia improbabile che possano attuare queste proposte da soli (eccetto il TAV, su cui convergono tutti i partiti).
Dovrebbero poi gestire la crisi di Alitalia, la fusione della FCA, le crisi già sui tavoli del ministero (i dipendenti di Mercatone Uno, licenziati via sms).
Per queste ragioni penso sia forse più probabile un incarico tecnico.
Oppure questo governo andrà avanti, portando avanti riforme i cui costi si scaricano sul futuro e dove il peso di Salvini sarà predominante (e il m5s che dovrà ingoiare un altro rospo per il sottosegretario Rixi).
Lo sblocca cantieri, altra norma criminogena che mette a rischio la sicurezza del territorio e delle costruzioni costruite.
L'Autonomia, che porterà ad un paese a due velocità.
Delitti senza castigo, di Loriano Macchiavelli
Prologo.
Qualche notizia sul passato dei personaggi, compresa la città, prima di entrare nella storia
Non si sa come Sarti Antonio sia arrivato a Bologna dalla montagna dove pare abbia avuto i natali. Forse lo ha trascinato la piena del Reno, come dicevano i bolognesi veri, quelli nati "satta al pur zil ed Bulagna", per i montanari approdati in città.
Sottotitolo di questo nuovo capitolo
della storia di Sarti Antonio, sergente di Polizia a Bologna, è
“un'indagine inedita di Sarti Antonio”.
Inedita perché scritta inizialmente
nel 1998 e terminata nel 2018 quando l'autore, Loriano Macchiavelli
ha finalmente trovato il finale giusto.
Un finale giusto per i tanti “delitti
senza castigo” di cui si parla in questo giallo ambientato a
Bologna negli anni successivi i delitti della Uno Bianca, le bombe
della mafia per la trattativa stato mafia, la fine della prima
repubblica...
Bologna che non è più l'isola felice
che si credeva, Bologna la dotta: la città delle torri e dei portici
che consentono riparo dal sole e dalla pioggia alle persone, ha una facciata pulita
ma nasconde anche un lato marcio con cui le persone come Sarti
Antonio devono affrontare tutti i giorni:
La fortuna di Bologna è che nessuno si prende la briga di scavare nel suo passato, nel suo presente o nel suo futuro. Nessuno, o quasi, va a rimescolare nei suoi rifiuti. Sarti Antonio, sergente, per il suo mestiere e controvoglia, è costretto a farlo.
Sarti Antonio, assieme all'agente
Felice Cantone sulla sua auto 28 sono alle prese con una serie di
episodi criminali, come nemmeno nella Chicago anni trenta
Ma non è finita: da un po' di tempo in qua, Bologna non ha niente ad invidiare alla Chicago degli anni che ruggivano.
Santi Antonio sono ancora dinanzi alla succursale della Cassa di Risparmio a tentare di capire qualcosa della rapina e dalla Centrale arriva un'altra richiesta d'intervento d'urgenza.
- Auto 28, auto 28, recarsi immediatamente ai Giardini Margherita, dove una ragazza è stata picchiata da alcuni teppisti. Auto 28, auto 28 ..
Non ci sono solo le rapine, che
rimangono senza castigo: c'è anche il pasticciaccio di piazza
Garganelli, due ragazzi giovani che sono stati uccisi da una sagoma
senza volto nel corso di una rapina
Il giovane avrebbe voluto gridare che non era armato, che aveva scherzato, che lui non aveva una pistola, che...Cadde sul pavimento del portico bagnato dalla nebbia.Lei fece solo tre passi e amen. Gli ultimi tre passi della sua vita, prima di cadere col viso sul pavimento e la schiena macchiata di sangue.Alla sagoma indistinta erano bastati due colpi.
C'è il pasticciaccio brutto di via dei
Mille, dove si trova l'appartamento di un regista ambiguo, che due
giovani promesse del calcio cercano di derubare, rimediando un colpo
di pistola in testa. Si chiamavano Poldo e Cinno e di loro non
rimarrà forse nemmeno il ricordo.
C'è un auto di una persona normale, o forse no, che salta per aria.
C'è infine un delitto senza castigo
(che però alla fine un castigo lo troverà, non in modo rispettoso
della legge) quando un uomo calvo, uscito da un'auto di lusso,
aggredisce Settepaltò mandandolo all'ospedale.
No, questo caso non si può archiviare:
assieme a Rosas decide di fare una sua indagine sul suo amico (che
gli aveva appena regalato un elmetto tedesco risalente alla seconda
guerra mondiale per ripararsi dalle radiazioni) per capire chi possa
averlo picchiato.
E l'indagine su questo uomo calvo lo
porta ad un altra storia che affonda nel passato, un altro delitto
senza castigo, una strage avvenuta al termine della seconda guerra
mondiale.
Quella che è passata alla Storia come
la battaglia di Casteldebole, poco fuori Bologna, quando i partigiani
della 63 esima brigata Garibaldi furono torturati e uccisi dalle SS
della sedicesima divisione “assassina”, bestie agli ordini di
quel maggiore Reder, pure graziato dal governo italiano nel 1985.
Ma procediamo con ordine: Sarti Antonio
scopre che assieme ad un altro personaggio alla Macchiavelli,
Quintale, Settepaltò aveva sgomberato un solaio in una villa antica
sui colli, di un imprenditore delle acque minerali, del cavaliere
Bastiani.
Tra la mercanzia recuperata, c'era
qualcosa che premeva molto al cavaliere Bastiani, che Sarti va a
trovare, prendendosi delle ferie, fin giù in Calabria a Cirò
Marina, in una trasferta che gli fa conoscere un mondo nuovo.
In trasferta
Non chiude occhio per tutta la notte. Gli ballano nel cervello immagini degli ultimi avvenimenti. Dai due fagotti sotto il portico dei Garganelli, alle foto di Cinno e Poldoha avuto davanti per tutto il turno e poi si è ortato in ufficio, sulla scrivania, fino a quando è smontato dal servizio.Gli torna il viso insanguinato di Settepaltò e quello triste della quindicenne.
Un mondo dove la giustizia si fa senza
passare da polizia e carabinieri.
Un mondo dove per una partita da
truccare si può rischiare la pelle.
Un mondo dove tutti sanno chi sei senza
nemmeno che ti presenti...
Non è che ottiene molto, giù a Cirò
Marina, se non rischiare la pelle per un rapimento abortito subito e
capire che il bandolo della matassa si trova proprio a Bologna.
Ancora una volta sarà Rosas ad
indicargli il filo che mette assieme tutti i pezzi della storia, per
farli incastrare assieme. Per arrivare alla verità sul pestaggio di
Settepaltò e per arrivare ad una verità ancora più dolorosa, su un
episodio della nostra resistenza avvenuto alla fine della seconda
guerra mondiale, a Casteldebole.
MA forse anche per questi delitti, di
cui Sarti è stato solo testimone e che ha dovuto archiviare,
arriverà una soluzione.
Perché i loro fascicoli sono finiti
sulla scrivania del vice ispettore Ugo Poli, il poliziotto col
bastone, “lo zoppo” che abbiamo incontrato già in un precedente
romanzo di Macchiavelli.
Un poliziotto che, non potendo usare le
sue gambe per il lavoro, cerca di usare il cervello per mettere
assieme tutti quei fatti, per trovare quei collegamenti che a
“questurini” come Sarti Antonio sfuggono.
Forse lui troverà anche per Cinno e
Poldo, anche per i due giovani morti in un amen in via Garganelli, il
colpevole. Ma solo per una sua soddisfazione personale, perché alla
fine l'archiviazione la farà lo stesso: “Mi chiedono di
archiviare? E io archivio..”
Il sito dell'autore Loriano
Macchiavelli
29 maggio 2019
Sofisticazioni politiche
Ci sono le sofisticazioni alimentari e ci sono anche le sofisticazioni politiche.
Prendete i sovranisti, i difensori dei sacri confini, degli interessi degli italiani.
La Lega, assieme al governo Berlusconi, ha firmato quei trattati europei che delegano il controllo sui conti all'Europa e ha votato pure per l'inserimento del pareggio di Bilancio in Costituzione.
Prima gli italiani, dice Salvini, ma non tutti: di certo non quelli che non godranno di alcun beneficio dalla Flat Tax: con minor tasse di certo non diminuirà l'evasione (state tranquilli) ma con minor gettito in entrata diminuiranno i servizi pubblici, specie nelle regioni del sud che saranno penalizzati dall'altra riforma sovranista, l'autonomia regionale.
Prima i lombardi, anzi prima i milanesi, anzi prima i cittadini del Giambellino ...
Sono così sovranisti che ad inseguire i fondi della Lega, i magistrati hanno fatto il giro dell'Europa.
Ma le sofisticazioni non colpiscono solo il partito di Salvini: avete sentito le dichiarazioni a sinistra (o nel centro sinistra) sui dipendenti di Mercatone Uno che sono stati licenziati via sms?
La vicenda è stata solo usata in chiave anti Di Maio.
Anche per loro, prima gli italiani, ma prima ancora la propaganda, il contentino per aver superato il M5S, gli imprenditori che devono avere mano libera di fare quello che vogliono.
In tanti hanno cercato di dare una spiegazione al voto di domenica: la paura e la rabbia che hanno spinto il ceto medio a votare Lega.
Scrive oggi Alessandro Robecchi sul Fatto Quotidiano: e se fosse il solito salire sul carro del vincitore?
Prendete i sovranisti, i difensori dei sacri confini, degli interessi degli italiani.
La Lega, assieme al governo Berlusconi, ha firmato quei trattati europei che delegano il controllo sui conti all'Europa e ha votato pure per l'inserimento del pareggio di Bilancio in Costituzione.
Prima gli italiani, dice Salvini, ma non tutti: di certo non quelli che non godranno di alcun beneficio dalla Flat Tax: con minor tasse di certo non diminuirà l'evasione (state tranquilli) ma con minor gettito in entrata diminuiranno i servizi pubblici, specie nelle regioni del sud che saranno penalizzati dall'altra riforma sovranista, l'autonomia regionale.
Prima i lombardi, anzi prima i milanesi, anzi prima i cittadini del Giambellino ...
Sono così sovranisti che ad inseguire i fondi della Lega, i magistrati hanno fatto il giro dell'Europa.
Ma le sofisticazioni non colpiscono solo il partito di Salvini: avete sentito le dichiarazioni a sinistra (o nel centro sinistra) sui dipendenti di Mercatone Uno che sono stati licenziati via sms?
La vicenda è stata solo usata in chiave anti Di Maio.
Anche per loro, prima gli italiani, ma prima ancora la propaganda, il contentino per aver superato il M5S, gli imprenditori che devono avere mano libera di fare quello che vogliono.
In tanti hanno cercato di dare una spiegazione al voto di domenica: la paura e la rabbia che hanno spinto il ceto medio a votare Lega.
Scrive oggi Alessandro Robecchi sul Fatto Quotidiano: e se fosse il solito salire sul carro del vincitore?
28 maggio 2019
28 maggio 1974 - La strage fascista di Piazza della Loggia
28 maggio 1974, Brescia piazza della Loggia: nel mezzo di un discorso per la grande manifestazioni antifascista organizzata dai sindacati, esplode una bomba dentro un cestino a ridosso della piazza.
E' la strage di Piazza della Loggia, 5 anni dopo la strage di Milano, la bomba nella Banca dell'Agricoltura: diversamente da quest'ultima, per Brescia la giustizia è riuscita ad arrivare ad una sentenza di condanna.
La bomba era una bomba fascista, una bomba nera, messa lì da Ordine Nuovo (quasi le stesse persone coinvolte per la strage di Milano): lo si sapeva fin da subito, ma lo stesso ci sono voluti anni per superare i depistaggi, le prove cancellate (la piazza fatta pulire con gli idranti dai carabinieri).
Perché quelle bombe? Perché quelle stragi?
Domande a cui ha dato risposta il bel libro di Benedetta Tobagi "Una stella incoronata di buio" (oltre che da una splendida puntata di Blu Notte di Lucarelli), in cui racconta di quegli anni in cui la democrazia è stata messa sotto attacco da apparati e pezzi dello Stato (che hanno usato i neofascisti) per condizionarne l'evoluzione democratica, per creare paura.
Dire «le stragi le hanno fatte i servizi», a sottintendere che il terrorismo di destra di destra non c'entra, è una comoda scappatoia. Senz'altro è vero, e alcuni ex terroristi l'hanno raccontato, che la galassia della destra eversiva si è sentita usata e poi scaricata dai padrini nascosti nelle forze di sicurezza statali, quando fu evidente che l'«ora X» del colpo di Stato non sarebbe mai arrivata, perché allo status quo bastava l'intentona. Ma è troppo comodo, da parte di chi militava in quel mondo, proclamare la propria estraneità sulla base del seno di poi, l'evidenza che le stragi hanno stabilizzato il potere in senso neocentrista. I servizi erano coinvolti in una partita giocata dalla destra eversiva. Ci hanno creduto davvero, e a lungo, i camerati che a furia di botti e attentati, sarebbero riusciti a innescare una svolta autoritaria.
Una stella incoronatadi buio, di Benedetta Tobagi Pagina 288, Einaudi editore
Oggi sappiamo: sappiamo cosa hanno fatto i fascisti e cosa hanno fatto quei pezzi dello Stato per coprirli.
Sappiamo quanto sia fragile ancora oggi la democrazia, specie in questi tempi dove si ha l'impressione che i neofascisti siano sempre più tollerati, sia data loro carta bianca.
Nelle piazze, nei quartieri.
Per condizionare ancora oggi la politica, le amministrazioni, il paese.
Processo ai cinque stelle
Per carità, il processo se lo meritano i 5 stelle: l'incapacità di creare una classe dirigente, di rimanere attaccati ai movimenti e al territorio, quel festeggiare dal balcone dopo l'approvazione in cdm del reddito di cittadinanza.
Ma, mi domando io: quando inizieremo a preoccuparci anche di quanto ha in mente "il capitano"?
Siamo tutti d'accordo per il TAV?
E per l'autonomia che piace anche al PD (e al governatore Bonaccini)?
Siamo d'accordo anche con la FLAT TAX?
Perché va bene dare addosso a giggino, che fa ridere di suo, alla sinistra sinistra (come si usa dire sui social), ai duri e puri.
Ma là fuori c'è un paese che ha paura del cambiamento, che pensa che suia tutta colpa dell'Europa, degli immigrati, della sinistra buonista: non sono la maggioranza del paese, si tratta del 30% dei votanti (e con una astensione al 40% fate voi la proporzione).
Ma c'è anche una parte del paese che vorrebbe sentir parlare di scuola pubblica, di diritti sul lavoro, di tutele per chi è difficoltà, di ambiente.
Ma, mi domando io: quando inizieremo a preoccuparci anche di quanto ha in mente "il capitano"?
Siamo tutti d'accordo per il TAV?
E per l'autonomia che piace anche al PD (e al governatore Bonaccini)?
Siamo d'accordo anche con la FLAT TAX?
Perché va bene dare addosso a giggino, che fa ridere di suo, alla sinistra sinistra (come si usa dire sui social), ai duri e puri.
Ma là fuori c'è un paese che ha paura del cambiamento, che pensa che suia tutta colpa dell'Europa, degli immigrati, della sinistra buonista: non sono la maggioranza del paese, si tratta del 30% dei votanti (e con una astensione al 40% fate voi la proporzione).
Ma c'è anche una parte del paese che vorrebbe sentir parlare di scuola pubblica, di diritti sul lavoro, di tutele per chi è difficoltà, di ambiente.
27 maggio 2019
L'Italia s'è destra
Una decisa svolta a destra, questo il risultato delle elezioni europee che solo un ingenuo potrebbe pensare che non abbia ripercussioni sul governo.
L'Italia di Salvini come l'Ungheria di Orban.
L'Italia dove l'onda verde non arriva, dove destra e sinistra esistono ancora, dove il PD può tirare un sospiro di sollievo e la sinistra chiedersi se convenga rimanere separata.
L'Italia a cui piace l'uomo solo al comando, del sud deluso dai 5 stelle e del nord che ora chiederà alla Lega le leggi promesse.
L'autonomia regionale (i soldi in saccoccia alle regioni ricche del nord), la flat tax (i soldi in saccoccia ai redditi alti), le grandi opere (altro cemento).
Vi piace il presepe, il rosario, i santi dell'occidente, il cappellino di Putin, il tapiro e tutto il resto della paccottiglia?
Vi sentite più sicuri, tranquilli?
Le strade sono più sicure?
L'Italia di Salvini come l'Ungheria di Orban.
L'Italia dove l'onda verde non arriva, dove destra e sinistra esistono ancora, dove il PD può tirare un sospiro di sollievo e la sinistra chiedersi se convenga rimanere separata.
L'Italia a cui piace l'uomo solo al comando, del sud deluso dai 5 stelle e del nord che ora chiederà alla Lega le leggi promesse.
L'autonomia regionale (i soldi in saccoccia alle regioni ricche del nord), la flat tax (i soldi in saccoccia ai redditi alti), le grandi opere (altro cemento).
Vi piace il presepe, il rosario, i santi dell'occidente, il cappellino di Putin, il tapiro e tutto il resto della paccottiglia?
Vi sentite più sicuri, tranquilli?
Le strade sono più sicure?
26 maggio 2019
Il voto, l'Europa, la democrazia
Non basta il rito delle elezioni per
parlare di democrazia.
E non basta nemmeno che in edicola ci
siano giornali diversi per parlare di libera stampa.
Dietro i riti, le regole, la facciata,
esiste una sostanza riempie la democrazia rendendola effettiva per
tutti.
A questo giro elettorale per le europee
dovremmo essercene accorti tutti: sono state le elezioni in cui la
brigata Voltaire si è mobilitata per consentire anche ai neofascisti
dichiarati uguali spazi per manifestare il loro essere fascisti.
Tutto questo mentre la Digos
sequestrava striscioni appesi ai balconi da cittadini che
evidentemente non fanno parte di quella élite “prima gli
italiani”.
Come per esempio la professoressa di
Palermo, sospesa e poi re integrata (ma solo sui social) per non aver
vigilato su una slide dei suoi alunni dove si mettevano a fianco le
leggi razziali e il decreto sicurezza.
I democratici del capolista Calenda che
si è fatto più notare per la polemica col collettivo Wu Ming, fatto
passare per un gruppo fascista perché non accetta il confronto.
Confronti e spazi televisivi da cui
partiti e candidati sono stati esclusi, come i Verdi e come Civati.
Strano, in tutti i talk sembrava di
vedere le stesse persone, gli stessi giornalisti, gli stessi
politici.
Senza che nessuno della brigata
Voltaire si sia indignato.
(Nessuna indignazione per la fake news spacciata dal Tg2 e poi rilanciata da Salvini sull'invasione degli immigrati in Svezia..).
Quello che fa tanto indignare i
democratici che però poi rinfacciano al ministro Salvini di non aver
fatto abbastanza sulle espulsioni.
La libera informazione si è mobilitata
anche per il brutto episodio di Genova, un giornalista picchiato da
agenti in tenuta antisommossa perché scambiato per un manifestante.
Fa paura pensare che stia passando
questo messaggio: vorrei essere chiaro, il manganello va usato come
arma di difesa, come deterrente.
Quel pestaggio è da condannare su
chiunque.
So quanto è difficile fare lavoro di
sicurezza in piazza, con la maschera, la divisa, il caldo, gli
insulti ricevuti dalle persone.
Ma la dignità delle persone vale per
tutti.
Altrimenti non è democrazia,
altrimenti chi garantisce che i diritti sanciti dalla Costituzione
valgono per tutti.
Un'ultima cosa, basta col ricatto del
voto utile! Il ricatto per cui se voti per i partitini allora
favorisci quello o quell'altro.
Colpa della frantumazione a sinistra,
fatta di partitini spesso ignoti ai molti (a destra almeno non hanno
problemi ad avere spazi televisivi).
Ma ogni voto vale.
25 maggio 2019
Canicola (Heat), di Ed Mc Bain
“La vecchia berlina senza contrassegni, a bordo del quale Steve Carella stava arrivando sul posto, era dotata di condizionatore, ma l'apparecchio, riparato l'anno precedente, con una vena di malignità aveva deciso di non funzionare più proprio nel momento in cui ce ne sarebbe stato maggiormente bisogno. Tutti i finestrini erano abbassati; eppure l’aria che entrava nella macchina era calda e appiccicosa perché lì, in quella metropoli, l’umidità stava attaccata alla temperatura da forno come una prima ballerina grassa al suo compagno.”
I personaggi dei
romanzi di Ed Mc Bain sono i poliziotti dell'87 distretto di questa
città immaginaria di nome Isola, una stampa e una figura con New
York: sono i detective che devono indagare sui reati del loro
distretto, che il caldo asfissiante dei giorni di agosto fa
esplodere.
Rapine, scippi, un
traffico di droga camuffato da piccoli spacciatori ..
E poi un caso di
suicidio che viene affidato ai due detective Carella e Kling: un uomo
trovato morto nel suo appartamento dalla moglie, appena tornata da un
viaggio in California.
L'uomo si chiamava
Jeremiah Newman e la moglie, la seconda moglie in verità, Anne: la
prima cosa che colpisce gli investigatori è quel caldo, asfissiante,
nella stanza dove si trova il morto, quasi un forno perché
l'impianto di condizionamento era spento:
- L'ondata di gran caldo è cominciata venerdì mattina, il giorno in cui è partita la moglie, - disse Carella.
- Lei gli ha parlato il martedì successivo. Vorresti dire che lui è stato in casa ubriaco per tutto il tempo con le finestre chiuse e il condizionatore spento?
- Non tutto il tempo. Forse soltanto quella sera. La sera in ci ha deciso di uccidersi.
- E prima di farlo è andato a spegnere il condizionatore?
- No, - disse Kling.
- No, - disse Carella.
- No, ripeté kling.
Difficile
stabilire l'ora della morte, per quel caldo e difficile anche
stabilire una causa della morte, senza un'autopsia prima.
Autopsia che
stabilirà che l'uomo è morto per aver ingerito 25 capsule di un
tranquillante, il Seconal: il morto lavorava come pubblicista e aveva
seri problemi di alcolismo. Aveva iniziato a bere da quando aveva
scoperto il padre, pure lui un artista affermato, morto suicida.
Potrebbe essere un
caso da archiviare in fretta: un suicidio dovuto alla depressione,
come confermato dalla moglie e dalla madre.
Ma c'è qualcosa in
questa storia che non convince Carella e che lo porta ad andare
avanti con l'indagine, quasi come se fosse una questione personale.
Perché
un uomo spegne il condizionatore prima di suicidarsi?
Nel frattempo il suo compagno, Bert Kling, è alle prese con un problema personale con la moglie, Augusta, una bellissima modella che passa la giornata passando da un set all'altro e, la sera, tra party e cene.
Nel frattempo il suo compagno, Bert Kling, è alle prese con un problema personale con la moglie, Augusta, una bellissima modella che passa la giornata passando da un set all'altro e, la sera, tra party e cene.
Kling è convinto
che la moglie lo tradisca, abbia un altro uomo.
Potrebbe
parlarne con lei, chiarire tutti quei dubbi che gli pesano addosso,
ma decide fare il poliziotto anche con la moglie, mettendosi a
pedinarla.
C'è
poi un'altra persona, però, che senza essere scoperto, sta pedinando
l'investigatore. E' un assassino appena uscito dal carcere che ha
deciso di vendicarsi di quel poliziotto che l'ha arrestato, dopo che
aveva ucciso la moglie e che gli aveva rinfacciato le sue parole di
difesa “non è colpa mia”..
No, un
delitto come questo ha sempre una colpa, non è frutto del caso.
Mentre si avviavano a piedi, un uomo uscì da un androne sull'altro lato della strada e cominciò a seguirli, mantenendosi parallelo a loro.Era un tipo grande e grosso con le spalle larghe, muscoloso come un sollevatore di pesi...
Ci troviamo così,
pagina dopo pagina, ad una doppia indagine: quella di Carella, tra
compagnia del telefono, le visite alla moglie di Jeremiah e alla
prima moglie, all'avvocato che aveva redatto il suo testamento.
E l'indagine
personale di Kling, che ha deciso di superare quella linea della
fiducia con la bella moglie, Augusta. Entrambe arriveranno ad una
verità, sconcertante quella di Carella sul perché di quella morte e
dolorosa per Kling, che si troverà pure ad un passo dalla morte.
Ansimando, Kling abbassò gli occhi a guardarlo. Non lo riconobbe. Staccò le manette dalla cintura, si chinò ad ammanettare l'uomo dietro la schiena, poi si sedette sui gradini dell'atrio, il respiro ancora affannoso; unì le mani davanti la faccia come in preghiera, abbassò la testa e finalmente permise alle lacrime di scorrere.
Canicola è un
poliziesco puro: ci sono poliziotti alle prese con indagini,
testimonianze da raccogliere, prove da esaminare, moventi da
ricostruire.
Ma sono anche
uomini che, come tutte le persone, hanno un loro carattere, i loro
problemi personali, i loro pregiudizi, le manie, qualche virtù e
anche dei difetti.
Ed Mc Bain ha
saputo costruire e raccontare un microcosmo all'interno dell'87
distretto molto realistico e molto umano: un microcosmo che vive e
lavora dentro questa enorme città, Isola, che a sua volta è un
mondo pieno di mille contraddizioni che la animano, per il contrasto
dei quartieri poveri coi bambini che cercano refrigerio aprendo gli
idranti dell'acqua e i quartieri “in” del lusso e dei grattacieli
con l'aria condizionata.
nel finale
ritroviamo assieme i due protagonisti del racconto, Kling abbattuto
sulla branda e Carella che decide di non lasciarlo solo in quel
momento e con un gesto affettuoso, gli poggia una mano sulla spalla:
Si avvicinò alla branda.
Si sedette sull'orlo.
Posò una mano sulle spalle dell'amico.
- Parliamone, vuoi? - disse.
24 maggio 2019
Lo sciopero per il clima
Fateci caso, alle persone ferme in macchina ai semafori, alle code.
Macchine semivuote, una massimo due persone nervose, pronte a scattare appena arriva il verde e a strombazzare se la persona davanti non si spiccia.
Qui a Milano il vero sport estremo è andare in bici per le vie della città: non solo per la qualità dell'aria, ma anche per l'assenza di una vera rete.
Certo, molto si sta facendo qui, per le bici, per limitare l'uso delle auto.
Ma molto rimane da fare se ci confrontiamo con altri paesi.
E lo stesso discorso vale per il trasporto pubblico in una regione, la Lombardia, considerata l'eccellenza: così eccellenza che molte persone, pur di non prendere treni affollati e scomodi, preferisce alzarsi all'alba e perdere ore della propria giornata in auto.
Cosa c'entra tutto questo? Oggi è la seconda giornata di sciopero sul clima, giornata che cade alla vigilia delle elezioni europee dove il tema dei cambiamenti climatici (e del trasporto pubblico e dell'eliminazione del traffico dalle strade ..) è stato ignorato, almeno dai partiti principali.
Siamo tutti con Greta ma ci teniamo le centrali a carbone, le auto per andare al lavoro, per spostarci di pochi chilometri.
E ai giovani che oggi scendono in piazza ridiamo pure in faccia perché si permettono di rinfacciarci l'egoismo con cui fino ad oggi abbiamo pensato solo a noi e non a quelli che erediteranno l'ambiente domani.
Macchine semivuote, una massimo due persone nervose, pronte a scattare appena arriva il verde e a strombazzare se la persona davanti non si spiccia.
Qui a Milano il vero sport estremo è andare in bici per le vie della città: non solo per la qualità dell'aria, ma anche per l'assenza di una vera rete.
Certo, molto si sta facendo qui, per le bici, per limitare l'uso delle auto.
Ma molto rimane da fare se ci confrontiamo con altri paesi.
E lo stesso discorso vale per il trasporto pubblico in una regione, la Lombardia, considerata l'eccellenza: così eccellenza che molte persone, pur di non prendere treni affollati e scomodi, preferisce alzarsi all'alba e perdere ore della propria giornata in auto.
Cosa c'entra tutto questo? Oggi è la seconda giornata di sciopero sul clima, giornata che cade alla vigilia delle elezioni europee dove il tema dei cambiamenti climatici (e del trasporto pubblico e dell'eliminazione del traffico dalle strade ..) è stato ignorato, almeno dai partiti principali.
Siamo tutti con Greta ma ci teniamo le centrali a carbone, le auto per andare al lavoro, per spostarci di pochi chilometri.
E ai giovani che oggi scendono in piazza ridiamo pure in faccia perché si permettono di rinfacciarci l'egoismo con cui fino ad oggi abbiamo pensato solo a noi e non a quelli che erediteranno l'ambiente domani.
23 maggio 2019
Il governo spieghi come vuole combattere la mafia
Anziché battersi sui temi della personale campagna elettorale, l'autonomia o la flat tax da una parte, il reddito di cittadinanza dall'altro, i due partiti di governo dovrebbero dedicare queste giornate di memoria per spiegare come intendono combattere la mafia.
Abolendo l'abuso d'ufficio?
Con la flat tax?
Almeno i 5 stelle hanno dato il loro contributo con la riforma dell'articolo 416 ter, lo scambio politico mafioso.
Salvini confonde l'anniversario della strage di Capaci con la data del suo comizio.
E l'opposizione?
Berlusconi va in televisione a farsi intervistare, come se niente fosse, come se avessimo cancellato il passato.
Mangano stalliere ad Arcore.
Il partito fondato con Dell'Utri, i soldi dati alla mafia.
Il PD sta cercando voti al centro ed è troppo occupato a puntare il dito contro questo governo giallo verde.
Un altro anniversario purtroppo sprecato.
Da leggere: l'articolo di Attilio Bolzoni sulla vita di Falcone.
Abolendo l'abuso d'ufficio?
Con la flat tax?
Almeno i 5 stelle hanno dato il loro contributo con la riforma dell'articolo 416 ter, lo scambio politico mafioso.
Salvini confonde l'anniversario della strage di Capaci con la data del suo comizio.
E l'opposizione?
Berlusconi va in televisione a farsi intervistare, come se niente fosse, come se avessimo cancellato il passato.
Mangano stalliere ad Arcore.
Il partito fondato con Dell'Utri, i soldi dati alla mafia.
Il PD sta cercando voti al centro ed è troppo occupato a puntare il dito contro questo governo giallo verde.
Un altro anniversario purtroppo sprecato.
Da leggere: l'articolo di Attilio Bolzoni sulla vita di Falcone.
Giovanni Falcone, la retorica di Stato, il disagio delle celebrazioni
Più trascorrono gli anni e più cresce la mia sensazione di disagio nel partecipare il 23 maggio e il 19 luglio alle pubbliche cerimonie commemorative delle stragi di Capaci e di via D'Amelio.
Inizia
con queste parole l'articolo del PG di Palermo, Roberto
Scarpinato, in ricordo del 27 esimo anniversario della strage in
cui furono ucciso Falcone, la moglie Francesca Morvillo e la sua
scorta a Capaci, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani.
Una sensazione di disagio nel sentirsi
ripetere, anno dopo anno, la verità di comodo sulla morte dei due
magistrati, diventati in questi anni simboli della lotta alla mafia.
Sono stati ammazzati per la vendetta
della mafia, per il loro lavoro svolto durante il maxi processo.
E' stata la mafia.
La mafia che ha deciso di uccidere
Giovanni
Falcone a Capaci in quell'attentato così imponente, così
drammaticamente spettacolare, anziché a Roma, dove era tutto più
facile.
La mafia ha deciso di uccidere
Paolo Borsellino dopo solo 55 giorni, davanti casa della madre,
sfidando quasi lo Stato (che non aveva saputo proteggere Borsellino,
che non si era sottratto ai pericoli che sapeva di correre).
La mafia ha deciso di mettere
le bombe in Italia, colpendo obiettivi di valore
storico-culturale, a Firenze, a Roma, a Milano.
Le due stragi vendetta di mafia, ma poi
il boss mafioso che le ha organizzate, Totò Riina la belva, è stato
catturato e dunque lo stato ha vinto.
No, tutto troppo semplice, tutto troppo
facile.
Prima perché questa ricostruzione si
dimentica del fatto che quelle bombe, quegli attentati hanno ancora
troppi punti da chiarire, che la versione ufficiale non spiega o non
vuole spiegare.
Perché i depistaggi di Stato
(fatti da uomini dello stato) per inventarsi la pista Scarantino?
Chi ha indirizzato Riina verso quegli
obiettivi?
Perché gli attentati furono
rivendicati da quella strana sigla, Falange Armata, che portava
dritta dritta a Gladio,
ai servizi deviati, agli scheletri dell'armadio della prima
repubblica?
C'è poi la sentenza (di primo grado al
momento) sulla trattativa stato mafia, che ora è difficile definire
presunta come è stata chiamata per anni dai garantisti italiani, che
sono quelli poi gli stessi della verità di comodo sulla mafia.
Come se la mafia di Riina fosse la
mafia di oggi. Chi conosce la storia della mafia, e c'è ne sono
tanti di storici della mafia come Saverio
Lodato, sa che Riina è stata una eccezione nella storia
della mafia: il volto della mafia non è quello del contadino di
Corleone, il viddano che con un golpe interno a Cosa Nostra
fece fuori le famiglie palermitane storiche, che si erano arricchite
negli anni '70 col traffico di droga e prima ancora con la
speculazione edilizia.
No, la mafia è sempre stato un potere
criminale spietato, capace di cercare rapporti con uomini politici e
rappresentanti dello Stato di tutti i colori.
Senza la connivenza dello stato, dei
politici che alla mafia cercano voti, cercano supporto, la mafia non
sarebbe stato molto di più di un gruppo criminale come gli altri.
Le stesse inchieste di Falcone e del
suo pool avevano fatto emergere i rapporti tra i boss e la massoneria
(poi non portati al maxi processo perché si rischiava che non
avrebbero retto il giudizio dei giudici). Dei rapporti tra cosa
nostra e i vertici politici dalla Sicilia fino a Roma.
Non dimentichiamoci mai, che gli stessi
garantisti di cui sopra, i negazionisti della trattativa,
quelli che ripetono la solfa della mafia sconfitta dallo stato buono,
si dimenticano che in questo paese abbiamo avuto un sette volte
Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, condannato per
mafia (per i suoi rapporti coi mafiosi fino al 1980). Condanna poi
prescritta.
Per non parlare delle condanne a Vito
Ciancimino, all'ex dirigente dei servizi Bruno Contrada (sentenza poi
ribaltata dalla Corte Europea, perché il reato non era ben
formulato).
A tanto era arrivato in alto il potere
della mafia: la mafia che era entrata nel sacco di Palermo, nel
traffico di droga dall'Asia per andare poi in America, la mafia che
poteva tranquillamente far passare i suoi beni nelle casse delle
banche siciliane, perché pecunia non olet.
Nemmeno se la banca è una banca del
Vaticano, lo IOR di Marcinkus, di Sindona prima e di Calvi poi.
Oggi la mafia, passata questa giornata
della retorica e dell'imbarazzo, non se ne parla più.
Si sventolano arresti, sequestri,
un'antimafia di facciata che si dimentica del vero potere di Cosa
nostra.
Certo, alcune riforme sono state fatte
ultimamente, sui reati contro la pubblica amministrazione, per
cambiare il reato di 416 ter, sul rapporto tra mafiosi e politici.
Ma ..
La storia di Antonello Montante
(raccontata recentemente da un servizio di Report
e dal bel libro di Attilio
Bolzoni) è significativa in tal senso: usare l'antimafia come
specchio per le allodole per costruire una rete di potere, di
ricatti, di dossier, per piazzare amici nelle poltrone che contano.
E mentre si elencano questi arresti,
questi sequestri, gli stessi volti, gli stessi nomi, si ripresentano
ad ogni elezione, portando il loro pacchetto di voti in dono a quel
partito o a quell'altro.
Per capire chi fosse Arata e in quali
rapporti fosse con Vito Nicastri (considerato dai pm di Palermo la
testa di legno di Messina Denaro) sarebbe bastato fare qualche visura
catastale.
Ma forse il signor ministro era troppo
preso coi sequestri …
Mafia, imprenditoria, politica collusa
e complice.
Questi i legami da sciogliere.
Falcone e Borsellino sono stati uccisi
non solo per una vendetta della mafia: forse ostacolavano il disegno
di riappacificazione tra una parte dello Stato con quella cosa nostra
con cui erano sempre andati d'accordo, fin dai tempi della strage di
Portella della Ginestra e della morte del bandito Salvatore Giuliano.
Serviva spazzare via i Riina e i
Bagarella.
Serviva trovare nuovi equilibri
politici.
Perché tutto cambiasse per non
cambiare nulla.
Oggi si parlerà solo del sacrificio e
dell'eroismo di Falcone (e di Borsellino), che eroi non volevano
diventarlo, volevano solo fare il loro lavoro, liberare lo Stato dai
ricatti, far respirare alle persone il “fresco profumo di
libertà”.
Dimenticandosi che, da vivi, Falcone e
Borsellino (come altre vittime della mafia), sono stati denigrati,
attaccati, infangati, derisi.
Ma perché non si spostano fuori
Palermo, così le sirene delle loro scorte la smettono di dar
fastidio alla brava gente?
Perché non la smettono di indagare
nelle banche e nell'imprenditoria siciliana? Sono i soliti giudici
comunisti che vogliono attaccare la DC..
Ecco, questo non ve lo diranno i
signori della retorica dell'antimafia, i padrini dell'antimafia.
22 maggio 2019
L'ex padrino dell'antimafia - anticipazione del libro di Attolio Bolzoni
E' uscita sul Fatto Quotidiano una anticipazione del libro di Attilio Bolzoni, "Il padrino dell'antimafia", riferito alla vicenda dell'ex presidente di Confindustria Montante, recentemente condannato a 14 anni in primo grado dal Tribunale di Palermo (per associazione a delinquere e altri reati)
PAGINE NERE - In "Il padrino dell'antimafia", il giornalista di Repubblica scava oltre gli atti giudiziari per narrare la resistibile ascesa dell'autoproclamato paladino della legalità marchiato Confindustria, da poco condannato a 14 anni e ancora indagato per mafia
Antonello Montante, il finto paladino dell’antimafia andato a processo per vari reati e tuttora indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, ha subito recentemente una pesante condanna di primo grado a 14 anni per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e accesso abusivo a sistema informatico. Ma la sua non è soltanto una storia giudiziaria, di maneggi commessi sottobanco finché qualcuno non li ha scoperti e perseguiti. L’antimafia di Antonello Montante, presidente di Confindustria Sicilia e vicepresidente nazionale con delega alla “legalità” dell’associazione degli industriali italiani, era finta alla luce del sole, così come gli affari e gli intrighi di poltrone che in suo nome si consumavano. Bastava poco per smascherarla, invece ha resistito per un decennio, ammaliando politici, giornalisti, associazioni, amministrazioni pubbliche (ne scrive anche Claudio Fava sul nostro menisile FQ MillenniuM attualmente in edicola). Ecco perché questa storia non va letta soltanto attraverso i – preziosi – atti giudiziari, ma con tutto il suo contorno e il suo contesto. Ed è proprio là che ci porta Il Padrino dell’antimafia. Una cronaca italiana sul potere infetto (311 pagine, 18 euro), scritto da Attilio Bolzoni, giornalista di Repubblica fra i più autorevoli osservatori di cose di mafia, opera prima della casa editrice milanese Zolfo, nata pochi mesi fa dall’esperienza di Melampo. Perché quando si tratta di raccontare le “mafie incensurate”, come Bolzoni le etichetta, per definizione non basta fermarsi agli atti giudiziari, agli indagati, agli intercettati.
La finzione di Montante e soci inizia fra il 2004 e il 2006 e culmina quando Confindustria Sicilia annuncia un svolta epocale: saranno cacciati dall’associazione tutti gli imprenditori scoperti a pagare il pizzo a Cosa nostra. Calogero Montante detto Antonello e Ivanhoe Lo Bello detto Ivan sono i paladini di questa rivoluzione. Su di loro escono articoli e libri entusiastici, sono invitati in tutta Italia a convegni antimafia, firmano “protocolli di legalità” con enti pubblici. Il 23 gennaio 2014 il governo Renzi, su proposta del ministro dell’Interno Angelino Alfano, nomina Montante nel comitato direttivo dell’Agenzia dei beni confiscati alla criminalità organizzata. Il tutto va avanti senza intoppi fino a quando, il 9 febbraio 2015, Bolzoni firma con il collega Francesco Viviano un articolo sulla prima pagina di Repubblica che svela l’indagine per mafia a carico del paladino dell’antimafia, e pone diversi interrrogativi sulla genuinità di quella “rivoluzione”. In questi dieci anni, nessuno pare essersi accorto di un dato semplice e verificabile: il numero di imprenditori espulsi da Confindustria Sicilia per aver pagato il pizzo assomma a zero. Zero. Tondo tondo. E non è tutto: al di là degli esiti giudiziari, la figura che emerge dalle indagini è l’esatto opposto di un paladino della legalità. Montante ha in casa un caveau segreto pieno di dossier su sodali e avversari, corredati dai file audio delle conversazioni che usava registrare all’insaputa dell’interlocutore. Si era inventato passate glorie impreditoriali inesistenti e intanto manovrava nell’ombra per gestire nomine e affari. La legalità, secondo l’accusa, era usata al contrario: chi si opponeva ai suoi piani riceveva le attenzioni delle forze dell’ordine, grazie a ufficiali compiacenti.
Già ci sarebbe da meditare su questo gigantesco abbaglio collettivo. Ma come spesso succede in questo Paese, non si tratta solo di un abbaglio. Il 9 febbraio 2015, data di pubblicazione dell’articolo che svelava la finzione, è la linea netta tracciata da Bolzoni. Chi ha intrattenuto rapporti stretti con Montante prima di quel giorno poteva anche non sapere. Chi ha continuato ad averli dopo, o si è lanciato in frettolose difese d’ufficio pubbliche, dovrebbe fornire qualche spiegazione, specie dopo la condanna (certo, di primo grado. Ma quel che conta, fuori dal tribunale, sono i fatti documentati). L’elenco è lungo, comprende giornalisti e persino attivisti antimafia, da Tano Grasso, storico leader della lotta contro il pizzo firmatario di un comunicato di solidarietà a Montante dopo l’articolo di Repubblica, a don Luigi Ciotti, troppo lento e tiepido, accusa Bolzoni, nel prendere le distanze da un personaggio con cui Libera, la rete di associazioni da lui fondata, aveva avuto rapporti fitti. Ma chi supera tutti è Confindustria, con i presidenti Giorgio Squinzi e Vincenzo Boccia, attualmente in carica. Il primo partecipa alla corsa della solidarietà incondizionata al suo uomo. Il secondo, appena nominato, offre a Montante un incarico in Reteimprese. Non basta: il collegio dei probiviri degli industriali italiani convoca per un procedimento disciplinare non Montante, ma il suo grande accusatore Marco Venturi, che infatti si dimette a stretto giro. E che dire dell’allora ministro dell’Interno Alfano che – conteggia Bolzoni – incontra l’indagato per mafia Montante almeno sette volte dopo che la notizia dell’indagine per concorso esterno a Cosa nostra è ormai pubblica? O del sindaco di Catania Enzo Bianco che – si legge nel libro– scrive due mail niente meno che a Carlo De Benedetti per lamentarsi della “scompostezza” dell’articolo di Repubblica?
Il padrino dell’antimafia racconta una storia siciliana, ma non locale. Apre una domanda, che già si pose a suo tempo per il re di tutti gli intrallazzatori, Licio Gelli: è il puparo o il pupo di qualcun altro?
LA FRASE – Il territorio racconta sempre tutto. Basta saperlo (e volerlo) ascoltare.
Una brutta campagna elettorale
La campagna elettorale più inutile di sempre sta per volgere al termine.
Salvini la considera un referendum su sé stesso (ai predecessori che hanno usato questa formula non ha portato bene).
Gli europeisti considerano l'Europa la nostra patria, che ci ha dato tanto (la possibilità di viaggiare, il roaming) facendo di fatto campagna elettorale per i nemici di questa Europa.
Ci serve questa Europa? Quella del dualismo commissione e consiglio europeo? Quella che sulla questione immigrazione ci ha lasciati soli? Quella che su Orban non è riuscita a prendere una decisione chiara?
Quella che tollera il dumping salariale, gli accordi tra gli stati nazionali e le multinazionali del web per fargli pagare meno tasse, quella che non riesce ad esprimere una sua politica estera unica?
In queste elezioni si è spostato il focus sul nemico contro cui fare campagna: l'Europa cattiva per i sovranisti (che però ai fondi europei ci tengono eccome) e dall'altra parte, i populisti che spacciano fake news, i sovranisti nemici dell'Europa unita.
Nessuno dei due indica il modello europeo che ha in mente: un'Europa sola dove si mette a fattor comune anche il debito (e si mettono da parte le piccole furbizie nazionali)?
Oppure una finta Europa unita dove gli stati continuano a fare quello che vogliono (e su questo Francia e Germania hanno fatto scuola, non solo l'Ungheria di Orban).
Che brutta campagna elettorale: non si è parlato di lavoro, di politica estera, di una vera lotta ai cambiamenti climatici, di diritti sociali e civili da far rispettare.
Peccato.
Salvini la considera un referendum su sé stesso (ai predecessori che hanno usato questa formula non ha portato bene).
Gli europeisti considerano l'Europa la nostra patria, che ci ha dato tanto (la possibilità di viaggiare, il roaming) facendo di fatto campagna elettorale per i nemici di questa Europa.
Ci serve questa Europa? Quella del dualismo commissione e consiglio europeo? Quella che sulla questione immigrazione ci ha lasciati soli? Quella che su Orban non è riuscita a prendere una decisione chiara?
Quella che tollera il dumping salariale, gli accordi tra gli stati nazionali e le multinazionali del web per fargli pagare meno tasse, quella che non riesce ad esprimere una sua politica estera unica?
In queste elezioni si è spostato il focus sul nemico contro cui fare campagna: l'Europa cattiva per i sovranisti (che però ai fondi europei ci tengono eccome) e dall'altra parte, i populisti che spacciano fake news, i sovranisti nemici dell'Europa unita.
Nessuno dei due indica il modello europeo che ha in mente: un'Europa sola dove si mette a fattor comune anche il debito (e si mettono da parte le piccole furbizie nazionali)?
Oppure una finta Europa unita dove gli stati continuano a fare quello che vogliono (e su questo Francia e Germania hanno fatto scuola, non solo l'Ungheria di Orban).
Che brutta campagna elettorale: non si è parlato di lavoro, di politica estera, di una vera lotta ai cambiamenti climatici, di diritti sociali e civili da far rispettare.
Peccato.
21 maggio 2019
Il movente della vittima di Giuseppe Di Piazza
Palermo, autunno 1984
Minico posò la pistola sul tavolino, scomponendo con il calcio la primiera di tre sette e asso di denari che pochi minuti prima gli era valsa la vittoria. Una partita bella, giocata sul filo dei punti, molto combattuta. Alla fine Minico, dopo aver incassato i complimenti, aveva sparato al suo avversario.
Secondo romanzo per il giornalista
Giuseppe Di Piazza, con protagonista (forse un suo alter ego) Leo
Solinas “biondino”, ovvero l'ultimo arrivato nella redazione di
un quotidiano (che esce nel pomeriggio) che abbiamo incontrato per la
prima volta nel giallo, Malanottata.
Siamo sempre a Palermo, dove lamattanza dei corleonesi per scalzare le famiglie storiche di mafia ha
lasciato per terra quasi mille morti, non solo tra mafiosi delle
famiglie perdenti, Bontade e Inzerillo.
Ma anche tra i tanti servitori dello
Stato, lasciati soli dallo stesso stato che doveva proteggerli.
Magistrati, medici, giornalisti,
politici, prefetti ..
Senza che questo suscitasse una minima
reazione da parte del resto dell'Italia.
Forse il delitto di cui si deve
occupare questa volta Leo, chiamato dai colleghi “Occhi di
sonno”, non è cosa di mafia: perché Domenico Cascino detto
Minico, cameriere dell'hotel Aziz, l'uomo che ha ucciso l'avvocato
Prestia, non è uomo di mafia.
Ha ucciso l'anziano avvocato e si è
consegnato ai poliziotti, senza spiegare i motivi del delitto..
E' una storia che intriga Leo, alle
prese con l'essere considerato l'ultima ruota del carro al giornale
(dunque il primo a dover uscire), ma anche con le sue indecisioni in
fatto di femmine. La sensazione di essere usato da tutte: Serena, la
provocante ragazza del suo amico Fabrizio, con cui condividono la
casa.
Giulia, la collega bella e brillante
venuta da fuori.
E poi c'è Lili, che considera come un
porto a cui attraccare quando c'è bisogno di quiete. Quella quiete e
quella tranquillità da cui però lo stesso Leo scappa.
Meglio tuffarsi in questo omicidio
dunque, che sembra troppo semplice: chi è questo avvocato Prestia,
che viveva da recluso in quell'albergo (con un passato importante) da
venti anni?
Perché Minico, il cameriere che lo
accudiva, lo ha ucciso, si è lasciato catturare e perché ora se ne
sta zitto?
Troppo semplice, troppo facile la pista
passionale, una storia tra uomini finita male: così Leo (che sarebbe
Leone, come si chiamava il nonno) inizia a muoversi, coi suoi
contatti nella Mobile, per dare risposte sensate a queste domande.
Riesce a parlare con la madre di
Minico, scoprendo che dal Borgo (un quartiere povero di Palermo) si
erano trasferiti da poco in una zona residenziale. Con uno
stratagemma riesce perfino ad entrare all'Ucciardone, assieme
all'avvocato d'ufficio e a parlare con Minico.
Altri tasselli si aggiungono al quadro:
Minico era fidanzato con la figlia del capo mafia del Borgo, Saro
Marchese. E' forse un delitto di mafia, allora?
Che segreti nascondeva il rapporto tra l’avvocato Gianguido Prestia e Minico Cascino? Quale deriva aveva preso la loro relazione?
Quel delitto non è una storia di
passione finita male, no. Leo intuisce che quel ragazzo così timido,
così strano, sarebbe diventata la sua storia da raccontare: una
storia che nel libro ci viene raccontata tramite brevi flash back,
attraverso quei 12 mesi in cui Minico ha servito il vecchio avvocato.
Un rapporto che piano piano è
diventata amicizia, confidenza: Minico racconta all'avvocato del suo
rapporto difficile con Cetta, la figlia del boss che lo considerava
come un niente.
E l'avvocato gli racconta del suo
passato, un passato importante come uomo di fiducia di una famiglia
mafiosa, un amore importante, Eleonora, fino a quell'incidente in
Tribunale..
In fondo, tutti e due accomunati da un
destino di reclusione:
Gli occhi segnati dall’età incrociarono quelli giovani del ragazzo palermitano, che aveva dentro di sé un’altra condanna: vivere da schiavo in un mondo che grondava volgarità, con una fidanzata destinata a diventare la sua carnefice..
Quel delitto così
semplice troverà, grazie al lavoro da giornalista di Leo, un
movente, il movente della vittima, che scopriremo essere un ultimo
guizzo di una persona che aveva capito che era arrivato il suo
momento..
Il movente della
vittima non è solo un bel giallo ambientato nella Palermo degli anni
'80, omaggio alla gioventù dell'autore, giovane cronista dell'Ora di
Palermo.
Nelle pagine di
questo romanzo si raccontano alcune vicende della lotta alla mafia,
del troppo sangue che è scorso sulle strade della città per il
golpe dei corleonesi di Riina e Provenzano: sangue dei mafiosi ma
anche sangue di magistrati, poliziotti, giornalisti che non avevano
girato la testa dall'altra parte.
Palermo, che gli
avevano chiamato “Al Aziz”, la splendida, era tramutata nella
città del sacco, la speculazione edilizia messa in piedi a fine anni
sessanta dalle famiglie mafiose, grazie alla complicità di una
classe politica (la DC di Salvo Lima e Ciancimino) collusa e grazie
al lavoro di professionisti come l'avvocato Prestia (personaggio
inventato ma molto reale) che si erano prodigati di lasciare liberi i
mafiosi per la solita “insufficienza di prove”.
Un potere che le
prime rivelazioni di Tommaso Buscetta (e degli altri pentiti che
seguirono) stava iniziando a scalfire e che poi avrebbe portato al
maxi processo.
Il libro è un
omaggio a Palermo la una città che Leo attraversa in lungo e in
largo per il suo lavoro, raccontandoci delle sue mille facce, del
cibo di strada (come pane e panelle, come i crocché, come le
arancine), dei volti delle persone, che parlano un dialetto genuino e
reale, che aveva saputo accogliere (e arruffianarsi) ogni invasore
Il Sud aveva la pregevole abitudine di rendere omaggio agli ospiti. La pizza Margherita a Napoli, la torta Savoia a Palermo, la cassata in tutta la Sicilia per i palati arabi, la cioccolata con lo zucchero a Modica per gli spagnoli e i loro retaggi sudamericani.
Popolo gentile. «Popolo ruffiano» diceva mio padre. «Noi ci siamo sempre ingraziati gli invasori: li facevamo felici con poco, gli lasciavamo credere di averci conquistato e, piano piano, eravamo noi a farli nostri.
La scheda del libro sul sito
dell'editore Harper
Collins
Report – valorizzare il “Capitale umano”
La porcata – di Emanuele Bellano
E il lato oscuro del prosciutto di
Parma, quello prodotto secondo un disciplinare preciso, che
garantisce la qualità che viene riconosciuta da tutti.
Il giornalista di Report ha raccontato
della frode dei prosciutti realizzati con maiali danesi e non del
luogo e ha anche mostrato le condizioni degli allevamenti di maiali
nella produzione di massa.
E non sono immagini belle: animali a
stretto contatto, dove si sviluppano fenomeni di cannibalismo, topi
che camminano liberi per i recinti e sopra il dorso dei maiali.
Maiali che saranno usati per fare il
prosciutto di Parma o il San Daniele.
L'Europa ci ha bacchettato perché non
siamo riusciti a garantire condizioni decenti negli allevamenti.
Ma al centro dell'inchiesta la più
grande frode alimentare, in un sistema dove è labile il confine tra
controllato e controllore delle regole del disciplinare di questi
salumi DOP.
Il capitale umano – di Michele
Buono
La proposta di Report per dare valore
al capitale umano, la sfida da prendere al volo se non vogliamo
perdere anche questo treno, della nuova rivoluzione industriale che
non ha più bisogno di lavoro di bassa qualità, di operai senza
scolarizzazione, alla fine indistinguibili dalle macchine.
La rivoluzione industriale 4.0 ha
spazzato via questi lavori, oggi sono richieste creatività e
competenze: oggi il valore di questa industria 4.0 non è la forza
fisica delle persone, ma la loro formazione, che avviene anche nelle
scuole.
L'Italia potrebbe intercettare 30
miliardi di euro di investimenti europei, per la formazione, per
queste tecnologie moderne: servirebbe una politica attenta a questi
cambiamenti, conviene al paese e conviene alla collettività.
Si parte dalle città, da dove parte il
servizio di Buono: il polo del Politecnico alla Bovisa, dove si fa
ricerca, un incubatore di idee di cui è partner anche il comune. Qui
prendono forma idee innovative, come il sensore che è in grado di
predire la scossa di un terremoto.
Le startup in questo hub hanno un
mercato da 32milioni di euro, attirano investimenti, creano posti di
lavoro di alta qualità.
Alla Bicocca c'è il centro ricerche
della Pirelli che attira nuovi laureati: Milano sta riqualificando
molte sue zone e questo mette in moto tutta l'economia.
Nell'economia della conoscenza la città
è la piattaforma da cui tutto parte: tutte le sue zone devono
muoversi allo stesso livello, non devono esserci zone disagiate.
A New York il comune sta investendo
nelle scuole nel Bronx, come investimento per dare anche alle
famiglie a basso reddito tutte le opportunità per crescere, per dare
un benessere collettivo.
Come in un orchestra, per dare la
sinfonia tutti devono rispettare le regole e un maestro deve dare i
tempi.
Obiettivo è avere una sola N.Y.: c'è
un consorzio nel comune che si occupa della formazione della forza
lavoro, in modo da alzare la professionalità delle persone.
Questo si traduce in nuovi posti di
lavoro, nuove tasse, di una economia che si mette in circolo.
Sempre a N.Y. esiste una commissione
per i diritti umani che vigila sulle discriminazioni per razza,
religione e sesso: lo sviluppo della città arriva anche dal rispetto
delle persone, del loro lavoro, anche quello dei free lance.
Il
lavoro va pagato, anche quando si parla di lavoretti, mentre
in Italia si fa fatica a far passare il concetto che anche i rider
devono essere tutelati come lavoratori subordinati, a New York si
tutelano anche loro.
Lorelei Salas,
commissaria al dipartimento della tutela dei consumatori-lavoratori
della città di N.Y: “secondo le nostre stime, la maggior parte dei
lavoratori freelance (il 40% dei lavoratori di New York) perdeva
circa 6000 dollari l'anno” perché al datore di lavoro veniva
comodo dire, adesso prendi questo il resto quando incasso. Ma il
lavoratore non è mai sicuro di come va a finire: parliamo non solo
di lavoratori per impieghi a basso costo, ma anche di architetti,
ingegneri, persone che fanno graphic design, persone che scrivono
libri.
La musica è
cambiata quando, da maggio 2017, una legge di N.Y. Tutela anche i
lavoratori free lance: secondo questa legge i contratti pari o
superiori a 800 dollari devono essere scritti, diversamente scattano
delle penali. In questo modo le società sono incentivate a pagare
nei tempi stabiliti i loro freelance, poiché temono in caso di
controversie la condanna ad un risarcimento pari al doppio del
compenso pattuito.
E' lo stesso
dipartimento del comune – racconta il giornalista di Report – che
si fa carico di controllare che la legge sia applicata e rispettata,
perché è tutta la città che ha interesse che la legge sia
applicata.
Liz Vladeck, vice
commissaria del dipartimento di tutela dei lavoratori, spiega che nel
primo di applicazione della legge, più di due terzi dei lavoratori
ha comunicato di essere stato pagato e risarcito.
Significa che
l'economia continua, perché le persone hanno la sicurezza di essere
pagate e quei soldi diventano tasse, spese in altri beni.
Dite che in questo
modo le imprese sono dissuase dall'assumere (come commenterebbero da
noi i signori imprenditori)? No, a settembre 2018 la disoccupazione
nella città di New York tocca il minimo storico, il 3,9%, il livello
più basso mai registrato dal 1976.
Nessuno viene lasciato indietro, a
nessuno è negata la dignità di persona e di lavoratore: non è una
politica buonista, non è solo pietas. Ma è una politica che
conviene alla collettività.
In Italia le iscrizioni all'università
calano, le persone laureate una volta formate se ne vanno all'estero.
L'esatto contrario.
Alcuni in Italia hanno compreso
l'importanza della formazione: come i due fratelli che hanno fondato
l'Autoclavi SPA, i fratelli Fedegari.
Oggi non ci sono più operai che
saldano a mano, ci sono i robot e ci sono operai che controllano le
macchine in rete, anche da remoto.
A Imola c'è la Sacmi: qui si assumono
ingegneri, astrofisici, in un'azienda che si occupa di meccanica.
Macchine complesse controllate da
remoto con dei visori montati da personale davanti la macchina.
A Piacenza, alla 40Factory usano le
reti neurali e l'intelligenza artificiale per insegnare alle macchine
come comportarsi nella normale operatività e in caso di guasti.
Anche qui hanno investito in persone e
in innovazione.
Marco Taisch -
osservatorio industria 4.0 del Politecnico di Milano: “abbiamo
bisogno di persone che sappiano usare queste macchine, colletti blu
che devono saper leggere i dati, leggere informazioni, saper prendere
delle decisioni”.
Sono dipendenti
che costano di più, come stipendi, ma che danno alle aziende un
valore aggiunto maggiore.
In Germania
investono in formazione professionale quasi 33 miliardi di euro: il
10% del PIL viene usato tra istruzione e ricerca.
In Italia tagliamo
ancora, anno dopo anno, sull'istruzione, invece.
E così succede
che lavoratori arrivino in Germania dall'Italia: si tratta di
lavoratori con alte competenze, sono ingegneri che in Italia
dovrebbero lottare per un contratto a 6 mesi, mentre sono accolti in
Germania.
Un ruolo
importante lo hanno le scuole, per una vera formazione: al liceo
Melchiorre Gioia di Piacenza insegnano tedesco, cinese, gli fanno
usare software di modellazione per disegnare case col computer.
Dalla scuola ai laboratori, dove la
conoscenza si espande: gli studenti fanno alternanza al lavoro, per
mettere in pratica le loro conoscenze.
A Gallarate hanno portato una fabbrica
in una scuola, l'ITIS: qui i tecnici sono ricercati dalle aziende.
A Campobasso all'istituto PILLA pensano
che dare una formazione alta agli studenti crei poi dei cittadini
migliori.
Leggono di più, si confrontano coi
professori, usano strumenti audiovisivi per aiutare gli alunni ad
apprendere le materie più ostiche.
Sempre a Campobasso, al pastificio La
Molisana, gli studenti fanno alternanza scuola lavoro: entrano
nell'azienda con la loro curiosità, con la loro passione.
Sono tutti esempi che potrebbero fare
modello, per altri istituti nel resto del paese: ma sono solo mosche
bianche, perché la ricerca in Italia è stata tagliata, perché poi
si offrono solo lavori con poca creatività.
Il modello è invece mettere assieme
competenze, farle circolare, mettere attorno al tavolo investitori:
come a Genova, in Valpolcevera, alla BeDimensional dove hanno fatto
ricerche sul Grafene e sui suoi utilizzi.
A Bari si è cercato di mettere assieme
ricerca e investitori: realizzare un nuovo packaging che cambi colore
quando il prodotto che contiene va in scadenza.
Il centro di ricerca dell'università
che si lega con le startup, con un fondo per finanziarle: si crea un
ecosistema che genera una mole enorme di dati che vanno analizzati.
Per questo servono nuovi informatici,
che usano l'intelligenza artificiale per estrarre da loro tutte le
informazioni necessarie: servono spazi allora, per i centri ricerca,
per le aziende, per la residenza di queste persone. Spazi da
riqualificare, sul lungomare della città.
Un hub digitale, questo è quello che
viene fuori, una struttura su cui l'Unione Europea si è dimostrata
molto interessata.
Potremmo attingere a quel fondo
dell'Unione Europea da 30 miliardi di euro, ma dobbiamo fare in
fretta per non perdere questo treno.
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