Mi ha colpito molto il tono usato da alcuni articoli (compreso il commento di Aldo Grasso) che commentavano il divorzio tra la Rai e il giornalista Michele Santoro. L'aggettivo "milionario" che accompagnava la notizia.
Forse che avere stipendi e buonuscite a livello di mercato vale per uni non per altri?
Forse che, con la trasmissione Annozero, Santoro e il suo gruppo non hanno fatto guadagnare la Rai?
Oppure è vero il contrario: come al solito, se ti permetti di fare le critiche ("sputare nel piatto in cui si mangia"), si deve essere più povero di un francescano. Senza case comprate a sua insaputa.
E così, mettendo l'accento sulla venalità del giornalista, ci si dimentica delle pressioni da destra e sinistra contro la trasmissione.
Fare il martire paga, commenta Bruno Vespa ("Si conferma che per Michele essere perseguitato si è rivelato un ottimo investimento"). Anche Bruno Vespa col suo contratto di collaborazione con la Rai ha fatto un ottimo investimento.
Aldo Grasso lo scrive proprio nel titolo "Michele, dalla trincea all'incasso".
Un profittatore Santoro, dunque, come Roberto Saviano che col suo libro, ha fatto i soldi.
Ma anche uno sciacallo, per essersi permesso di occuparsi del terremoto in Abruzzo.
Berlusconi potrà scrivere una lettera di addio ("finalmente") all'amato/odiato giornalista.
Il giornale dovrà trovarsi qualcosa da scrivere il venerdì mattina.
E noi, rimarreno senza un pezzo di informazione:
abbiamo pagato per conto di Berlusconi i dieci milioni di euro a Santoro in quanto azionisti dell’azienda pubblica Rai;
abbiamo perso la possibilità di vedere una buona trasmissione critica in un quadro informativo sempre più omologato, e che diventerà ancora più censorio con la legge sulle intercettazioni;
non avremo almeno per un paio d’anni nessun’ipotesi della vagheggiata tivù indipendente in stile “Raiperunanotte” perché c’è la clausola di non concorrenza alla Rai.
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